domenica 14 aprile 2019

Letture allarmanti

Sindromi di polarizzazione spinta
(di Felice Celato)
Non avremmo bisogno, per la verità, di letture allarmanti: siamo già allarmati! Mi viene sempre in mente quando i nostri pigri titolisti ci propinano i loro rancidi minestroni di cronache del tipo “La Banca d’Italia dà l’allarme sul debito pubblico” o “Cantone suona l’allarme corruzione” o “La Corte dei Conti: è allarme sull’evasione fiscale”. Siamo già allarmati! E poi l’allarme ha senso quando un pericolo ignorato rischia di materializzarsi; ne ha assai meno quando il pericolo non è ignorato anzi è già ben presente alla nostra attenzione e vivo nelle nostre preoccupazioni.
Eppure mi è venuto da definire “allarmante” il bel libro di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt Come muoiono le democrazie (Laterza, 2019, ebook). Si tratta di un volume che i due docenti di politologia alla Harvard Kennedy School of Government di Cambridge (USA) dedicano alla crisi della democrazia liberale nel loro paese. Il libro è preceduto da una breve saggio su La sfida populista e i suoi rimedi, di Sergio Fabbrini (docente di politologia alla LUISS di Roma) che introduce e commenta la trattazione dei due studiosi americani, riconducendola alle prospettive europee e delineando una efficace sintesi dell’ampio dibattito politico e sociologico - da tempo in corso un po' in tutto il mondo – sulle origini e sulle caratteristiche del (cosiddetto) populismo e sulle sue connessioni coi movimenti (cosiddetti) sovranisti, anch’essi recentemente diffusi nel nostro continente.
In sostanza il libro svolge – con ampia documentazione attinta soprattutto dalla storia recente – una tesi non nuova (abbiamo qui più volte citato e raccomandato il libro di Fareed Zakaria The future of freedom che, in qualche modo, questo sì!, dette – ormai più di quindici anni fa – l’allarme sul rischio che le democrazie liberali corrono  quando i meccanismi di formazione della volontà politica – appunto democratici – si rendono compatibili con forme autoritarie, virando cioè verso cioè verso quella specie di ircocervo che è l’illiberal democracy): in estrema sintesi, quando in un regime formalmente democratico vengono meno, con progressione talora impercettibile, anche i principi non codificati di temperanza (ossia di moderazione nell’esercizio delle prerogative istituzionali di chi governa) e di tolleranza reciproca fra gli attori delle vicende democratiche (cioè la reciproca accettazione e legittimazione) si determina una sindrome di polarizzazione spinta che indebolisce (anzi corrode) la democrazia e si trasforma in un conflitto esistenziale spesso legato a razza e cultura. Il testo è ricchissimo di esemplificazioni di tali dinamiche (e delle conseguenze che se ne sono generate a carico dei rispettivi regimi democratici) attinte soprattutto (ma non solo) dalla storia dei populismi sud-americani; ma via via riporta l’attenzione sulle vicende della democrazia statunitense e, con particolare ampiezza, al periodo della campagna elettorale e della successiva affermazione del presidente Trump, fornendo anche una specie di indicatore di allarme destinato a monitorare i comportamenti dei politici al governo.
C’è, nel testo di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt (come del resto nel saggio di Fabbrini), una pars construens che, dopo un’analisi così scorata, riporta ad una prospettiva ritenuta alla portata del presente ed in fondo (starei per dire: banalmente) all’essenza dei meccanismi democratici. Essa si situa, peraltro, lungo un sentiero tanto più impegnativo quanto più attuali si siano manifestati, in concreto, i sintomi di una deriva illiberale delle democrazie: da un lato  la ripulsa, senza compromessi o alleanze tattiche, dei metodi che vengono avversati (in nessun caso è consigliabile farne adozione, nemmeno per opporsi); dall’altro, la rigenerazione di meccanismi tipicamente democratici quali la coalizione, anche trasversale, degli oppositori (negli Usa su base multirazziale e inclusiva anche del proletariato bianco) e l’impegno politico per la rimozione dei presupposti (economici e sociologici) che possono aver alimentato una recessione democratica.
In sintesi: un libro che si raccomanda per l’ampiezza della ricerca storica che sorregge le tesi degli autori, espresse con lucidità, efficacia ed anche (quando si parla della presidenza Trump) con una certa drammaticità. Non a caso abbiamo ascritto il libro (ed il saggio che lo precede) al novero delle letture allarmanti, soprattutto per chi vi vada alla ricerca di analogie nostrane. 
Roma 14 aprile 2019




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