martedì 16 aprile 2019

Minuscolo anniversario

Otto anni fra noi
(di Felice Celato)
Il primo post “pubblicato” su questo blog è del 16 aprile 2011 (ho messo “pubblicato” fra virgolette perché – non ostante il blog sia ovviamente aperto al pubblico – esso è in realtà destinato alla conversazione fra pochi amici). In 2920 giorni ho scritto 732 post (compreso questo), diciamo uno ogni 4 giorni. Le pagine visualizzate dai lettori nell’intero periodo sono state circa 72.800 pari a circa 25 al giorno; è ragionevole stimare che, di queste, circa un terzo (diciamo 8) abbiano origine da lettori casuali (banali esploratori di rete, semplici rimbalzati da qualche ricerca, qualche titolo di per sé attrattivo, etc). Ne consegue che ogni giorno, nell’intero periodo, i veri destinatari di queste conversazioni asincrone (più altri, ignoti amici lettori) hanno “guardato”, tutti insieme, una quindicina di pagine (le statistiche più recenti – dopo una breve interruzione della “produzione” intervenuta nella primavera-estate del 2014 – mostrano medie giornaliere più alte).
Questi dati – che forse farebbero la disperazione di un normale blogger – mi sono invece di grande conforto: non ostante l’improprietà del mezzo, il blog è rimasto quello che voleva essere: un modo per restare in contatto intellettuale coi pochi amici coi quali mi è gradito conversare; ma anche un modo (per me prezioso) per mantenere in vita la mia passione per le cose scritte, che – secondo l’uso che sono solito farne – implicano sia un esercizio di ordinata esternazione di pensieri, sia una certa sorveglianza lessicale. Del resto, i pensieri, se uno li tiene solo per sé, spesso rimangono disordinati, si affastellano nella mente alla rinfusa: in fondo quando inviti qualcuno nella casa dei tuoi pensieri è normale che tu metta un po’ in ordine; e vedere la casa in ordine di solito ci fa piacere (e ci serve anche a riflettere su ciò che non ci serve più e si può tranquillamente portare in cantina). Le parole, poi: in un tempo di linguaggi rudi e slabbrati, ci siamo sforzati di esprimere i nostri pensieri con parole delle quali non ci si debba vergognare; e usando lemmi corrispondenti a significati quanto più possibile precisi, avendo cura che i significati e significanti non prendessero autonome derive.
Vicina alla questione delle parole c’è quella del periodare, sulla quale qualche lamentela l’ho ricevuta, nel tempo, con grazia e con amicizia: in sostanza mi s’è detto che il mio periodare si vale troppo spesso di incisi, fra parentesi o fra trattini, che rallentano la lettura e talora obbligano ad una rilettura (il che, lo confesso, non proprio mi dispiace). Credo che sia vero: talora, per meglio riflettere il percorso del pensiero, costruisco la frase addensando rimandi, avvertenze, riserve, cautele. Beh! in tempi di immarcescibili assertori di semplificate certezze, il rendere edotto il lettore di una più meditata strutturazione di ciò che si ardisce dire non mi pare una grave colpa (serve anche a ricordare che le cose sono spesso complicate); e comunque mi piace assolvermene. 
Infine una parola sui commenti: ne ricevo tanti, a voce, magari intorno ad una pizza o anche per telefono o via mail; veramente molto rare invece ne sono le tracce sul blog, a riprova del fatto che molti dei miei pochi lettori – mi dispiace per loro – hanno ancora le giornate più piene della mia (o non sono maniaci dello scribacchiare, come me). 
Non posso negare che lo scrivere quel che penso (per quel poco che vale) sia per me un piacevolissimo passatempo; quale, però, ne sia, in essenza, la prevalente finalità meta-ludica – se ce ne è una – non saprei dire: mantenere in vita una comunicazione “intellettuale” coi miei corrispondenti? Sicuramente. Tenere traccia di ciò che mi viene pensato nel tempo? Forse anche (e infatti talora mi rileggo e qualche volta mi critico anche). Soddisfare un inespresso bisogno di comunicare con chiarezza (io che so farlo a voce solo quando parlo di cose professionali)? Può essere. Una cosa mi sento di escludere: che serva per lasciare memorie ai posteri! Sarebbero inutili e spero che i posteri abbiano altro da fare (…magari ai nipoti, quando saranno più grandi, potrà fare piacere capire che tipo era il loro nonno, che forse parlava poco ma che trepidava – e ogni giorno pregava – per loro).
Roma 16 aprile 2019

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