mercoledì 24 aprile 2019

La società divergente

25 aprile
(di Felice Celato)
Giusto un anno fa, avevamo fatto (a noi stessi, s’intende) una Proposta indisponente (vedasi post del 25 aprile 2018): sospendiamole, queste festività civili (per carità, lasciandone la funzione di pilastri dei “sacrosanti” ponti primaverili, l’unica universalmente apprezzata nel Paese!); proviamo a vedere se senza le loro stilizzate retoriche magari rispunta la salutare nostalgia del “chi siamo?”, magari affiancata da quella del “dove andiamo?”. Sospendiamole; facciamo, per un po', una società senza feste civili, senza memorie, senza nerbo civico; teniamoci solo le graditissime scampagnate!
Ci sembrava, allora, che alle festività civili, al 25 aprile, come al 2 giugno e anche al 1° maggio, dovesse essere riservata, almeno pro tempore, una sorte coerente con la sospensione, che stiamo vivendo, del sottostante concetto di civitas: un insieme di cittadini che condividono non solo un territorio ma un diffuso senso di appartenenza civile e valoriale e un comune senso della propria storia e del futuro.
A tutt’oggi ci sembra proprio il caso di confermare quella proposta indisponente, specie se – come leggiamo – il 25 aprile viene vissuto come “un derby fra fascisti e comunisti”: sospendiamo le celebrazioni dell’Anniversario della Liberazione! Di derby (e di tifoserie sudate ed urlanti) ne abbiamo abbastanza, lasciamo correre in silenzio il nostro quotidiano dépaysement civile, aspettiamo che cessino i "sobbollori" che turbano la nostra civitas – ritorno alla tribùnostalgia del grembo materno?  retrotopia?(Bauman); sovranismo psichicorancore collettivo?paura della complessità? (Censis); paura della libertà? (Mason); illusioni identitarie? (Amartya Sen); deconsolidamento democratico? (Mounk) – per ricominciare a pensare, collettivamente, “chi siamo” e “dove andiamo”; mitigando gli spiriti bollenti della nostra società divergente
In fondo un tempo di sospensione, una specie di Sabato Santo della nostra storia civica, non può fare che bene, aiutando a decantare il presente, per magari trattenerne gli umori più fruttuosi (se ce ne sarà alcuno).
Lasciamo, nel frattempo, che siano per un po' solo i nostri fratelli ebrei – che ebbero ragione di comprendere meglio di ogni altro che cosa significò la liberazione dal fascismo – a tenere acceso il lumino del 25 aprile, con senso della storia e della profezia, come in fondo è proprio della cultura ebraica. Potrà tornare utile, anche il lumino della nobile e gloriosa Brigata Ebraica, per riaccendere la fiamma di una comunità stanca, quando, spontaneamente o spintaneamente, riprenderà (o sarà costretta a riprendere) le forze.
[Ah! beninteso!, l’abbiamo chiarito in premessa: ove mai (ma non c’è da temerlo) la nostra ri-proposta indisponente prendesse consistenza (in un modo o nell’altro) in ogni caso (ripeto: in ogni caso) è fatta salva la funzione di pilastri dei “sacrosanti” ponti primaverili, sia per il 25 aprile che per il 1° maggio che per il 2 giugno! Eh! Va bene “sparare” (dati i tempi, lo scrivo tra virgolette) proposte indisponenti, ma quando si tratta di autentici e condivisi valori nazionali (scampagnate, gite fuori-porta o, più radical-chic, dejeuner sur l’herbe) non si scherza! Vuol dire che, più propriamente, invece che festività civili, le chiameremo, per un po', festività pontili.]

Roma 24 aprile 2019

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