25 aprile
(di Felice Celato)
Giusto un anno fa, avevamo fatto (a noi stessi, s’intende) una Proposta indisponente (vedasi post del 25 aprile 2018): sospendiamole, queste festività civili (per carità, lasciandone la funzione di pilastri dei “sacrosanti” ponti primaverili, l’unica universalmente apprezzata nel Paese!); proviamo a vedere se senza le loro stilizzate retoriche magari rispunta la salutare nostalgia del “chi siamo?”, magari affiancata da quella del “dove andiamo?”. Sospendiamole; facciamo, per un po', una società senza feste civili, senza memorie, senza nerbo civico; teniamoci solo le graditissime scampagnate!
Ci sembrava, allora, che alle festività civili, al 25 aprile, come al 2 giugno e anche al 1° maggio, dovesse essere riservata, almeno pro tempore, una sorte coerente con la sospensione, che stiamo vivendo, del sottostante concetto di civitas: un insieme di cittadini che condividono non solo un territorio ma un diffuso senso di appartenenza civile e valoriale e un comune senso della propria storia e del futuro.
A tutt’oggi ci sembra proprio il caso di confermare quella proposta indisponente, specie se – come leggiamo – il 25 aprile viene vissuto come “un derby fra fascisti e comunisti”: sospendiamo le celebrazioni dell’Anniversario della Liberazione! Di derby (e di tifoserie sudate ed urlanti) ne abbiamo abbastanza, lasciamo correre in silenzio il nostro quotidiano dépaysement civile, aspettiamo che cessino i "sobbollori" che turbano la nostra civitas – ritorno alla tribù? nostalgia del grembo materno? retrotopia?(Bauman); sovranismo psichico? rancore collettivo?paura della complessità? (Censis); paura della libertà? (Mason); illusioni identitarie? (Amartya Sen); deconsolidamento democratico? (Mounk) – per ricominciare a pensare, collettivamente, “chi siamo” e “dove andiamo”; mitigando gli spiriti bollenti della nostra società divergente.
In fondo un tempo di sospensione, una specie di Sabato Santo della nostra storia civica, non può fare che bene, aiutando a decantare il presente, per magari trattenerne gli umori più fruttuosi (se ce ne sarà alcuno).
Lasciamo, nel frattempo, che siano per un po' solo i nostri fratelli ebrei – che ebbero ragione di comprendere meglio di ogni altro che cosa significò la liberazione dal fascismo – a tenere acceso il lumino del 25 aprile, con senso della storia e della profezia, come in fondo è proprio della cultura ebraica. Potrà tornare utile, anche il lumino della nobile e gloriosa Brigata Ebraica, per riaccendere la fiamma di una comunità stanca, quando, spontaneamente o spintaneamente, riprenderà (o sarà costretta a riprendere) le forze.
[Ah! beninteso!, l’abbiamo chiarito in premessa: ove mai (ma non c’è da temerlo) la nostra ri-proposta indisponente prendesse consistenza (in un modo o nell’altro) in ogni caso (ripeto: in ogni caso) è fatta salva la funzione di pilastri dei “sacrosanti” ponti primaverili, sia per il 25 aprile che per il 1° maggio che per il 2 giugno! Eh! Va bene “sparare” (dati i tempi, lo scrivo tra virgolette) proposte indisponenti, ma quando si tratta di autentici e condivisi valori nazionali (scampagnate, gite fuori-porta o, più radical-chic, dejeuner sur l’herbe) non si scherza! Vuol dire che, più propriamente, invece che festività civili, le chiameremo, per un po', festività pontili.]
Roma 24 aprile 2019
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