Il perdono (e la democrazia)
(di Felice Celato)
Della mia personale affezione verso questo grande santo della storia (della Chiesa intera, del nostro Paese e anche della mia famiglia), i miei lettori già sanno; e non mi pare il caso di ritornarci ancora una volta. Di San Francesco, del resto, hanno detto in tanti, ben più ispirati e sapienti di me, da Dante e Giotto (e scusate se è poco!), coi loro linguaggi tanto simili, fino ai dì nostri.
Mi piace ora ricordarlo per una festa francescana che conobbi tanti anni fa, quando d’estate, con la mia famiglia d’origine, passavo il mese di agosto in Umbria: la festa del perdono, che ogni anno si celebra ad Assisi (anzi alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli) il 2 agosto. Ad essa sono legati ricordi personali che non è il caso di descrivere in questa sede… un po' mondana; e tuttavia oggi, nel nome di Francesco, mi è tornata in mente con forza per la semplicità e l’imponenza del suo titolo: la festa del perdono; e per la sua perenne (ed espansiva) attualità.
Io credo ancora che di perdono abbiamo bisogno noi tutti; non solo come persone - nei confronti del Padre (per chi Lo riconosce) e dei fratelli - ma come umana collettività che, oggi, sembra votata a nulla perdonarsi; anzi a tutto reciprocamente rimproverarsi, spesso con rabbia, con focoso disprezzo dell’uno per l’altro, che tutto trasforma in colpa degli altri e di tutto assolve ciascuno di noi.
Siamo fatti così o così siamo via via diventati nel tempo che non conosce più la coscienza? Forse sono vere entrambe le cose: così siamo fatti, dai tempi di Caino, perché uomini; ma così siamo anche un po' diventati, via via che della coscienza abbiamo fatto “un semplice sfondo su cui la società dei media getta le immagini e gli impulsi più contraddittori”, dimenticando che essa è anzitutto “atto della ragione mirante alla verità delle cose” (Benedetto XVI, 24 febbraio 2007, Discorso ai membri della Pontificia Accademia per la Vita). [Qui il discorso si farebbe lungo ma lo rinviamo ad altra occasione].
Forse una società che ha scelto di amministrarsi attraverso la democrazia – che è (anche) alternanza nel reggimento della comunità – ha bisogno di una dimensione sociologica del perdono più di ogni altra, perché – in essa democrazia - il “potere” è affidato alla volontà delle maggioranze. E queste via via si compongono in forme, con parole, con concetti e sentimenti, che variano nel tempo, senza che ne varino, nel profondo, i portatori, magari fra loro di tempo in tempo diversamente aggregati, nell’esercizio maggioritario destinato, inevitabilmente, a scomporsi in minoranze perennemente transitorie. Forse la democrazia postula necessariamente il perdono, non solo come individuale disposizione dell’animo ma soprattutto come sentire collettivo (in dimensione sociologica, appunto), perché senza di esso non ci sarebbe la continuità della comunità: una comunità fondata sul rancore ha in sé tutti i germi della propria dissoluzione come comunità. Sarebbe bene che lo avessimo presente, tutti i giorni, quand’anche fossimo ogni giorno chiamati (o spinti) ad aggregarci in base alla nostra opinione sul bene comune, che, anche la nostra, come ogni collettività, è tenuta a perseguire; cioè (questo è il concetto di bene comune) sul canone che fissa i limiti delle libertà individuali, anch’esse, insieme all’eguaglianza, pilastro della democrazia.
Anche qui il discorso si farebbe lungo; ed anche qui, per il momento, soprassediamo; siamo già andati, forse, troppo lontano, con questa riflessione sulla dimensione sociologica del perdono; o forse siamo venuti estraendo da questo pilastro della spiritualità francescana (il perdono) un senso che poteva anche essere solo implicato nel pensiero espresso del grande santo italiano. E tuttavia, oggi, festa di san Francesco, mi è parso naturale (perché questi sono i tempi) ricordarlo così, in questa dimensione che va al di là di quella con cui siamo abituati a pensarlo (il santo della natura, dell’umiltà, della creaturalità, della bontà, di sora nostra morte corporale, e di tante altre suggestioni spirituali). La grandezza della sua eredità si misura anche sulla intrinseca capacità espansiva recata in nuce dalla straordinaria interpretazione francescana del messaggio cristiano.
Auguri a tutti i Francesco (e, nel suo nome, a tutti noi! Ne abbiamo bisogno.)
Roma 4 ottobre 2018
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