martedì 23 ottobre 2018

Diatribe

Uno stato leggero
(di Felice Celato)
Più mi capita di discutere, anche animatamente, con amici coi quali, in tanti anni di vita, ho condiviso tutto - punti  di riferimento spirituali, valori umani, civili e personali, molte esperienze di vita e....molti chili di sale mangiati assieme  - più mi accorgo di quanto, nel tempo e non ostante tutto ciò, si sia fatto diverso fra noi il senso di ciò che ci aspettiamo dallo stato, per ora nella sua dimensione nazionale blandamente europeizzata, in futuro - speriamo vivamente - in una dimensione meta-nazionale e assai più decisamente europea.
Questa constatazione – che forse dà il senso di un’inquieta vecchiaia – mi ha indotto ad allineare in poco più di 600 parole le mie convinzioni al riguardo.
Bene: io credo in uno stato leggero e aperto al mondo, che sappia  minimizzare le sue intrusioni nella vita dei cittadini, che non pretenda di  sovrapporre le sue visioni della vita - quand’anche democraticamente supportate - a quelle che ciascuno di noi è titolato a liberamente coltivare, per suo conto nella sua propria vita sulla base dei suoi valori; che, secondo diritto (la rule of law), sappia adempiere  con efficienza ai suoi tanti ruoli essenziali (difesa, giustizia, ordine pubblico, tutela dei più deboli, ambiente, istruzione e sanità di base, tassazione, protezione dei liberi scambi) rivolgendo ai cittadini norme chiare e costanti nel tempo e che assicurino loro la “certezza del diritto”; che voglia favorire ogni attività finalizzata a creare benessere collettivo ed individuale, senza pretendere, in principio, di erogare alcuno dei servizi o dei prodotti attraverso i quali, quel benessere, prima si genera e, poi, si distribuisce (grazie alla natura progressiva della tassazione, ovviamente con intenti ridistribuivi); che sappia esercitare il dovuto controllo sulle attività che eventualmente dovesse (essere costretto ad) affidare in gestione per rispondere ad esigenze particolari per le  quali il mercato non abbia espresso soluzioni soddisfacenti (compresi gli ambiti educativi, sanitari e anche di welfare); che sappia garantire un elevato grado di apertura al mondo per vivificare la  cultura e (nella contingenza Italiana) contenere il declino demografico della sua collettività.
Uno stato leggero non vuol dire né uno stato debole (un regolatore può anche essere vigoroso – se la sua ambizione è questa – almeno fino al limite in cui non si trasforma in distruttore di ciò che dovrebbe solo regolare), né - tanto meno - uno stato assente o distratto (sono già così tante e complesse le attività sue proprie che, al contrario, si “distrarrebbe” se si occupasse delle altre); vuol dire invece uno stato non ipertrofico (Bedeschi) che sia costantemente conscio di essere uno strumento e non un fine: lo stato è per l’uomo e non l’uomo per lo stato; vuol dire uno stato che, per funzionare, richieda non meno ma più politica (Capaldo) ma meno narrazioni e più concretezza; non meno austerità ma più responsabilità (De Romanis).
Uscendo da livelli tanto generali (filosofici, direi, conscio che altri possano definirli fumosi) e scendendo verso gli aspri lidi del presente, io credo che l’Italia abbia tre fondamentali urgenze che, tuttavia, mostra di voler ignorare: dissipare l’insopportabile cappa di rancore (De Rita) che grava sulla nostra società; risvegliare le capacità degli Italiani, la loro vitalità, la loro produttività, se si vuole anche resuscitando il forte scheletro contadino della loro storia (De Rita); sgretolare, una volta per tutte o progressivamente ma  con costante determinazione, il macigno (Cottarelli) o la palla al piede (Capaldo) che ci paralizza, attraverso un debito pubblico che assorbe risorse (per il suo servizio) e che mina ogni capacità di intervento dello stato, quand’anche  (per inatteso assurdo)  esso già si conformasse alla mia....alleggerita configurazione.
Mi rendo conto che queste idee – sia quelle generali che quelle più legate al nostro contingente – tendono a confliggere con lo spirito dei tempi su questi nostri lidi italiani; la cosa non mi sorprende e, quel che è peggio, non mi dispiace affatto: ho a lungo riflettuto su quale possa essere il peso relativo dello stato nei confronti di cittadini liberi ed uguali e resto convinto che l’uomo è il valore fondamentale e vale più di ogni struttura sociale alla quale partecipa (Benedetto XVI).
Roma, 23 ottobre 2018



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