16 ottobre 1943
(di Felice Celato)
Spesso nelle mie camminate urbane e comunque ogni domenica per andare a messa, attraverso il ”ghetto” romano, da Piazza delle cinque Scole, fino a Piazza Mattei, passando per via del Portico d’Ottavia e via della Reginella. Lungo il percorso si contano a decine le Stolpersteine, le Pietre d’inciampo (piccoli blocchi di porfido ricoperti di ottone), che ricordano le singole persone (più di mille ebrei, di ogni età) prelevate dalle loro case e deportate (ad Auschwitz) quel sabato 16 ottobre di soli 75 anni fa. Non viene dalle profondità del tempo, questa memoria, non era basso impero romano o alto medioevo, quel giorno di soli 75 anni fa, quando il “sonno” della ragione si fece – anche da noi – orrore dell’uomo; ma dalla profondità del male, che, come il bacillo della peste di Bernard Rieux, non muore né scompare mai… sempre pronto a svegliare i suoi topi e mandarli a morire in una città felice (dal finale de La peste di A. Camus).
In ricordo di quella giornata, vergogna della storia dell’uomo, del popolo Tedesco e di quello Italiano (che a lungo gli tenne dietro), vale la pena di rileggere qualche passo del discorso che Benedetto XVI, “il papa Tedesco”, in visita (2006) al campo di Auschwitz (dove furono atrocemente spente quasi tutte le vite dei deportati di Roma): Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui [Giovanni Paolo II]: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio.
Sì, non potevo non venire qui. Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell'Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Dèstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (Sal 44,20.23-27).
Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.
Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l'uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell'egoismo, della paura degli uomini, dell'indifferenza e dell'opportunismo.
Rimangano sempre lucide, le Pietre d’inciampo nelle strade del Ghetto e nelle nostre menti, a perenne monito contro i sonni della ragione!
Roma 15 ottobre 2018
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