Così va il mondo
(di Felice Celato)
Segnalo oggi un libro che non ho letto. Come mai questa cosciente immersione nella corrente cialtroneria? Perché del libro (che pure sta sul mio tavolo, in attesa di essere ripercorso) conosco molto bene il contenuto in quanto da molto tempo seguo il sito che lo ha “generato” (e la omonima fondazione, Gapminder, che ne cura le fonti); e quindi le analisi che contiene mi sono molto familiari. [Ne è prova – e ne sono infantilmente fiero – che ho riportato un altissimo punteggio positivo nel test col quale l’autore, all’inizio del libro, fa toccare con mano quanto poco siamo informati sulle consistenze e sulle tendenze delle “quantità” che marcano la qualità della vita nel mondo]. L’autore Hans Rosling (scomparso l’anno scorso) insieme al figlio Ola e alla nuora Anna Rosling Ronnlund, è (era) uno straordinario “divulgatore” di Factfulness (questo il titolo del libro, edito quest’anno da Rizzoli), cioè – traducendo liberamente il neologismo inglese – di fattualità, di attaccamento tenace ai fatti, contro la devastante ignoranza delle illusioni percettive prodotte, forse, da istinti drammatici che non riusciamo a tenere sotto controllo o da tendenze istintive alla infondata generalizzazione o alla polarizzazione delle “realtà” immaginate; o magari solo prodotte dalla scarsa propensione alla misurazione delle cose, per la quale “un bicchiere d’acqua ed un’onda sempre acqua sono”, anche se il primo disseta e la seconda travolge.
Avrei potuto attendere, per parlarvene, di averlo almeno completamente risfogliato, questo corposo volume; e invece sento l’urgenza di consigliarne la lettura perché la cosciente dose di fiducia nel presente che ne promana (ne spiego subito il senso) mi pare un ottimo antidoto per i nostri crucci paesani.
Il fatto è che pare proprio – come del resto credo di aver qui detto più volte – che il mondo vada meglio di quanto immaginiamo; direi di più: di quanto siamo disposti a credere. Il che non vuol dire – è fin troppo ovvio – che il “male” (nelle sue tante materiali manifestazioni crudeli come, per esempio, la mortalità infantile, la fame e la povertà assoluta, i morti in battaglia, l’ignoranza, i decessi per calamità naturali, etc) sia scomparso dal mondo; né che il “bene” stia ovunque prevalendo ( nei suoi concreti indicatori materiali ed immateriali come, per esempio, l’aspettativa di vita, l’alfabetizzazione, l’accesso alla scolarizzazione delle bambine, il diritto di voto delle donne, la resa cerealicola, la copertura delle reti elettriche, la disponibilità di acqua da fonte protetta, l’immunizzazione vaccinale, la diffusione della democrazia, etc). I problemi irrisolti e le opportunità tuttora negate restano un problema altamente sfidante dal punto di vista umano; vero è, però, che, non ostante la vertiginosa crescita della popolazione mondiale, la dimensione dei problemi irrisolti e quella delle opportunità negate si sono straordinariamente ridotte, negli ultimi 30-40 anni, a ritmi impensabili (o meglio: impensati dai più), al di là di ogni nostra non fattuale ed emotiva percezione.
Insomma (a questo conducono le affascinanti dimostrazioni di Rosling, nel libro e sul suo sito), la realtà effettiva del mondo è significativamente migliore di quella percepita; e, soprattutto, le tendenze rilevate negli ultimi decenni sono sicuramente confortanti, specie se rapportate al contemporaneo sviluppo quantitativo della compagine umana.
Dicevo, dunque, che questo libro (fra l’altro scritto in maniera piacevolissima e quasi divertente) può costituire un antidoto all’ondata di pessimismo nazionale che forse ci pervade e alla montante sfiducia nella capacità dell’Europa di puntellare le sue proprie debolezze. In questi giorni – nello sfacelo degli assetti politici preesistenti – fioccano, sui giornali nostrani, ipotesi di rinascita, di palingenesi, di rifondazione di una cultura della politica, di proclamata lotta al rancore ed alle sue manifestazioni spesso irrazionali, etc.. In realtà - temo di aver enunciato qui fin troppe volte la mia convinzione – la radice del nostro presente, nella (vasta) misura in cui ci lascia perplessi, si abbevera a fonti profonde, non più partitiche né ideologiche, né genericamente culturali, né, forse, solo sociologiche (e questo mi rende oltremodo scettico su “virate” dal corto respiro). Occorre cercare nel nostro invecchiamento, nella nostra perdita di competitività culturale, nello sfiancamento antropologico del nostro sentirci collettività, nella perdita di senso del passato e di passione per il futuro, le ragioni dei nostri mali di lunga deriva (se riteniamo che siano mali).
Collegare quelle dinamiche mondiali con questa nazionale è anche un modo per ritrovare un senso nei fenomeni migratori che tentiamo, con rumoroso affanno, di contenere per non averne saputo gestire l’aspetto forse più positivo, che rifiutiamo ancora di vedere perché ci spiace trovarne l’evidenza. Ma questo è un altro discorso e, forse, lo riprenderemo in seguito.
Roma, 28 giugno 2018
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