Le pubbliche opinioni
(di Felice Celato)
C’è, forse, nella concitata attività gesticolatoria di questi tempi, una dimensione sulla quale vale la pena di riflettere (sempreché questa attività non risulti ormai desueta e incompatibile con la galoppante fast democracy).
Mi riferisco all’importanza delle pubbliche opinioni ed alle loro (inevitabili) natura complessa e interconnessa latitudine.
Come sanno i lettori di questo blog, chi scrive non ha una grande considerazione della pubblica opinione (e di quella italiana in particolare); ma certamente non perché ne sottovaluti l’importanza ai fini della determinazione della volontà democratica, importanza ovvia, naturalmente. Chi va a votare (diciamo, più o meno, attorno ai 2/3 degli aventi diritto) esprime, in forma sintetica (il voto per questo o per quello), valutazioni che riflettono certamente il punto di vista del singolo (costruito sulla base della diretta osservazione della realtà) ma, inevitabilmente, anche opinioni pre-aggregate da un partito o da un altro, sotto forma di agende, valutazioni, sensibilità, retoriche, narrazioni, scale di priorità, convinzioni generiche o specifiche su singoli temi ritenuti al momento rilevanti; complessivamente diciamo, per mera comodità, sulla base di narrazioni politiche (o, se siete affezionati ad un vecchio modo di esprimersi, di programmi politici). E fa ciò, grazie alla comunicazione che intermedia e veicola tali narrazioni-programmi politici, spesso con fedeltà, talora deformandoli (o ampliandone o riducendone il significato) sulla base delle inclinazioni, dei pre-giudizi o degli interessi dei veicolatore. Da questa catena (osservazione diretta, narrazioni politiche, veicolazione mediatica) deriva quel (spesso) disordinato guazzabuglio di percezioni e pulsioni che chiamiamo pubblica opinione (della cui fattuale rispondenza abbiamo più volte detto).
E dunque sarebbe veramente improprio sottovalutare l’importanza, appunto della pubblica opinione, ai fini della costruzione della cosiddetta volontà democratica.
Ciò che invece sembra chiaramente sottovalutata, anzi, spesso, totalmente ignorata, è la dimensione internazionale della pubblica opinione; anzi, per i motivi che dirò subito, delle pubbliche opinioni. Chi legge abitualmente la stampa estera si può facilmente rendere conto come uno spostamento di accento che si determini in una pubblica opinione generi – nel contesto altamente interdipendente in cui viviamo – un corrispondente (talora opposto) spostamento di accento nella pubblica opinione di un altro paese. Faccio un esempio estremo (perché estrema è la sua insensatezza): immaginiamo che prenda consistenza una qualsiasi delle varie narrazioni di tanto in tanto propinate agli Italiani sul trasferimento ad altri (in qualsivoglia forma) di parte del debito pubblico Italiano; ci sarà senz’altro, nelle opinioni pubbliche dei paesi ipotetici accollatari di questi debiti (contratti nel tempo per sostenere il benessere degli Italiani), chi si allarmerà al punto di attivare vivaci e contrarie pulsioni miranti ad respingere in radice tali (fantasiose) soluzioni. E anche queste opinioni pubbliche, va da sé, votano, come vota la nostra; e non è azzardato prevedere che voterebbero orientando il proprio paese (o meglio: contribuendo ad orientarlo) verso una politica che tenda a prevenire e contrastare la balzana prospettiva dell’esempio.
Tutto questo, forse troppo lungo, argomentare, serve solo a dire che – nel contesto altamente interdipendente in cui viviamo – la dinamica delle opinioni pubbliche va sempre rapportata alla dimensione della consociazione europea di cui, per grazia di Dio, siamo (ancora) parte.
Chiunque pensasse, sulla base di sovraeccitate narrative, che l’Italia possa recuperare, non solo una sovranità integrale (cioè indipendente dai trattati internazionali sottoscritti in forza di quella autolimitazione di sovranità normata dalla Costituzione, art. 11), ma anche una sovranità opinionale (nel senso che si possa, senza conseguenze, dire e far pensare qualsiasi cosa ci venga in mente) credo si sbagli profondamente (e pericolosamente). Non esiste più, almeno nell’ Europa di oggi, un confine valligiano per le nostre pubbliche opinioni. Tutto circola, tutto si muove, tutto muove; e, ovviamente, non sempre nelle direzioni che a noi più piacciono, magari suscitando reazioni ostili su argomenti diversi da quelli che hanno transitoriamente affascinato la nostra pubblica opinione. Sarebbe bene che i “formatori” delle pubbliche opinioni nostrane ne tengano conto; non occorre nemmeno innalzare il kagemusha del mercato (l’ombra del guerriero terribile di Akira Kurosawa) per far riflettere sul rapporto fra le parole e le loro conseguenze.
Roma 17 giugno 2018
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