mercoledì 20 giugno 2018

Letture

Ipertrofia dei diritti
(di Felice Celato)
Ho letto con grande interesse questo libro appassionato (scritto anche benissimo) che raccomando alla attenzione dei miei lettori: di Alessandro Barbano, Troppi diritti (Mondadori, 2018).
E tuttavia, pur condividendo buona parte delle spietate analisi dell’autore (in particolare i capitoli su Il sapere senza sapienti, La dittatura della piazza, La democrazia del talk-show, Il radicalismo di massa, La leadership dei performer, La variabile giudiziaria, Il paradigma della gogna, Il pensiero securitario, La lunga notte del Sud, dove, fra l’altro, l’autore meglio mette a frutto la sua grande esperienza di giornalista); pur condividendo, dicevo, queste lucide ed acuminate analisi, rimango assai perplesso sulla scelta del titolo ambiguo e, ancor di più, del sottotitolo fuorviante: l’Italia tradita dalla libertà.  [Per la verità, il titolo  dello stesso capitolo che specificamente sembrerebbe trattarne (Il tradimento della libertà) mi è parso poco chiaro, forse anche per l’equivoco fra l’uso soggettivo o oggettivo della preposizione articolata: insomma è la politica italiana che ha tradito la libertà (come  argomentato nel capitolo) o la libertà che ha tradito (cioè ingannato?) la politica italiana, come enunciato nel sottotitolo?]. 
Il problema, secondo me, non è del numero (troppi o pochi?) dei diritti né, tampoco, dei presunti tradimenti da parte della libertà, quanto piuttosto – e lo dice magnificamente Orsina nel libro segnalato qualche post fa – nella pervasiva decomposizione della politica operata dalla democrazia del narcisismo (che è poi un concetto analogo al presentismo di matrice DeRitiana); dove il cittadino narciso assomiglia al democratico “illimitato” Tocquevilliano e all’”uomo-massa” Orteghiano: soddisfare le proprie urgenze psicologiche immediate è l’unica cosa che gli interessi, perciò vive esclusivamente nel presente [cfr. Re Rita]: ha perduto il senso del passato e, di conseguenza, non è più capace di immaginare nemmeno il futuro.
Insomma, una volta di più, la premessa culturale e sociologica mi pare preponderante sulle sue variabili estrinsecazioni politiche. In questo senso molto meglio si esprime Barbano quando, nel suo ampio argomentare, parla di ipertrofia maligna dei diritti o anche di dirittismo (questo è il fil rouge delle analisi sviluppate nel libro) come cifra illiberale di questo esito della democrazia ovvero come sottrazione di spazio ai doveri e a una religione civile della democrazia fondata sulle tradizioni sedimentate nella famiglia, nel costume e nella vita sociale. [ NB: Per non spaventare i laici, i negatori del giusnaturalismo e gli altri “cacciatori” di sdegnate censure, vale la pena di riportare quanto osservava molto chiaramente il p.Ottavio De Bertolis SJ (in Le ragioni di Antigone - La legittimazione del potere, Cittadella, 2011): le costituzioni rappresentano il precipitato “positivizzato” di quei valori diffusi nella società che costituiscono la premessa non discussa – si potrebbe dire i “valori non negoziabili” – dell’agire giuridico e politico. È vero infatti che non sono politici i fondamenti della politica come non sono giuridici i fondamenti del diritto. Piuttosto, il diritto e la politica si innestano in un complesso di valori di riferimento in mezzo ai quali essi sorgono, in un processo di reciproca osmosi. Forse, in altri tempi, si sarebbe detto: ...si innestano nella costituzione materiale].
Bene, se questa bega un po' pignola sul titolo (e sui suoi risvolti)  non ha stancato il lettore, passiamo brevemente alla pars construens del libro di Barbano, anch’essa, a mio giudizio, pur nei suoi enunciati astratti, largamente condivisibile (come lo è del resto gran parte della pars destruens, nelle sue, invece, concrete esemplificazioni dei nostri mali).Per la verità tanto vasta e sconsolante si presenta l’analisi distruttiva (spesso leggendola mi sono sentito un ingenuo ottimista) da far dubitare che ad essa possa seguire una pars construens. E invece c’è una “ricetta” Barbano (la chiama moderazione integrale), della quale però non si può dire che sia un indirizzo politico quanto, piuttosto, un quadro di riferimento culturale (nuovo ed antico allo stesso tempo) di respiro Europeo, nel quale l’ipertrofia dei diritti viene “medicata” con dosi massicce di realismo e verità, col recupero del limite e del beneficio del dubbio, con la coltivazione del merito, col rispristino della delega del potere e del sapere, col riconfinamento dello Stato nelle sua potestà regolatorie, con una sfida a tutto campo al conformismo dei luoghi comuni e del politicamente corretto, con la ri-conduzione della democrazia alla fonte di quelle esigenze ed evidenze morali che le tradizioni religiose conservano come sedimenti di valori, ovvero (si tengano forte i cosiddetti laici!) ai fondamenti etici della legge (come diceva il card. Ratzinger al filosofo Habermas, in Ragione e fede in dialogo, Marsilio, 2005).
Guardandosi intorno non si può che concludere per la vastità del programma; resta però – ad avviso di chi scrive ed ha letto – la qualità e la passione civile del libro che, perciò, di nuovo raccomando.
Roma 20 giugno 2018









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