giovedì 21 giugno 2018

Controcorrente

B.E.S.T. proposal
(di Felice Celato)
Da noi – chissà perché – fanno facile presa le azioni di marketing demonizzante; così il suffisso -ista [di per sé indicativo di un’attività (per esempio: il civilista, per dire l’avvocato specializzato nel diritto civile) o di un’inclinazione ideologica (per esempio: il leghista o il socialista, per dire l’aderente alla Lega o al Partito socialista) o di personali caratteristiche (per esempio: il fantasista, per indicare l’interprete di fantasie artistiche o anche calcistiche)], applicato all’aggettivo buono (corrispondente  ad una virtù, la bontà, anzi, alla somma delle virtù, attributo per eccellenza di Dio), è diventato spregevole segno di buoni sentimenti, di tolleranza  e di benevolenza, dei quali, però, apoditticamente si presume l’ostentazione ipocrita; del resto, durante il periodo delle leggi razziali Italiane (anzi: italiane, con la lettera minuscola), la stessa sorte toccò al termine pietista per indicare colui che mostrava sentimenti di pietà (o di semplice simpatia) per gli ebrei o che magari li ostentava (cfr. Giacomo Papi, su ilPostdel 27 2 17).
Così dunque, pare coniato da Ernesto Galli della Loggia nel 1995 scrivendo dell’Ulivo di Romano Prodi, l’aggettivo buonista ha assunto una connotazione talmente negativa da essere usato correntemente come insulto rivelatore di ipocrisia, flaccidezza, assenza di nerbo virile. Per carità: non è andata meglio al popolo che – poveraccio! - ha generato il populista; ma almeno il popolo se lo è meritato (col voto, intendo).
Si direbbe quasi che il “pessimo” buonista (caratterizzato come abbiamo appena detto) sia diventato il negativo dell’”ottimo” cattivista, un aggettivo che, però, non decolla come dovrebbe perché non ancora sponsorizzato da nessuna forma di marketing positivo. Non ancora, appunto; perché non escluderei che di questi tempi ce se ne innamori fino al punto di trasformarlo in un vanto politico od umano.
Il fatto è – mi pare di poter osservare con infinita amarezza – che viviamo un tempo nel quale ogni giorno amiamo sentirci più cattivi (o anche solo meno buoni) del giorno precedente; forse per sentirci veri sovrani dei nostri destini a scapito di ogni altro; perché, in fondo, così ci pare, l’essere buoni è un po' vergognoso, se non nella vita privata (anche se a Roma si dice che si sei troppo bbono passi pe’ minchione), almeno in quella pubblica, da sempre, da noi, caratterizzata dall’amore (magari a termine) per le maniere spicce, forti, da Duce o da Ducetto; o semplicemente decisioniste come si cominciò a dire ai tempi di Craxi (facendo il verso ad un’espressione nientemeno che di Carl Schmitt, per il quale – formalisticamente a ragione –  auctoritas, non veritas facit legem);  decisionista, per dire semplificatore del fare complesso, poco disposto alla fatica del tortuoso formarsi di una volontà ed all’analisi troppo elaborata delle implicazioni di essa.
Di fronte a questa amara constatazione, con ancora negli occhi lo scempio dei figli dei migranti messicani ingabbiati nell’America dei loro sogni, mi viene spontaneo formulare ai miei lettori una proposta dal sapore conservatore: se ci ribellassimo al marketing negativo del buonista; se tutti insieme scegliessimo di proclamarci orgogliosamente buonisti, rivendicando che  non può esistere una buona politica senza il bene del buon essere e del buon agire (J. Ratzinger, Omelia per i deputati cattolici del Bundestag, 26 novembre 1981); se, contrastando ogni deriva transitoriamente maggioritaria, affermassimo ad alta voce che ci sono valori…che valgono per se stessi, che  provengono dalla natura umana e perciò sono inattaccabili per tutti coloro che possiedono questa natura (J. Ratzinger con J. Habermas, in Ragione e fede in dialogo, Venezia 2005); o se semplicemente proclamassimo che vogliamo fermamente essere buoni perché buono è il Signore, Dio dell’Universo, e perché così ci hanno predicato di essere i nostri venerati genitori; se facessimo tutto ciò dichiarandoci B.E.S.T., Buonisti Europei Semplicemente Testardi; se investissimo, almeno per un po’ e fino ad evidenza contraria, sul fatto che ci si possa capire, anche quando è difficile, quasi sovrumano (G.Papi, s.c.); se facessimo tutto ciò, non saremmo forse più utili al nostro povero paese di quando accettiamo pazientemente (starei per dire: bovinamente) di essere bollati con l’etichetta perfida di una virtù beffeggiata? E soprattutto, non avremmo meno cose di cui vergognarci quando ci guarda negli occhi chi ci stende la mano? 
Proviamo, dichiariamoci fieramente B.E.S.T.!
Roma, 21 giugno 2018 (solstizio d’estate, da domani la luce del giorno comincia a raccorciarsi)

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