(di Felice Celato)
“Combattenti di terra, di mare, dell'aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del Regno d'Albania. Ascoltate! Un'ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano….
È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto….
E salutiamo alla voce il Führer, il capo della grande Germania alleata. L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai.
La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo.”
Così tuonava il Duce, quel fatidico giorno di 78 anni fa, di fronte al popolo plaudente, entusiasta di tanto vigore che finalmente erompeva dai petti, mai come allora così distanti dalle teste.
Quella stessa sera, il Conte Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri e genero del Duce, dopo aver consegnato agli Ambasciatori di Francia e di Inghilterra la formale dichiarazione di guerra, annotava scettico, su quello che divenne poi il suo famoso Diario: Io sono triste, molto triste. L’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia.
Come andò a finire, lo sappiamo tutti e non è il caso di tornarci sopra.
Il controverso personaggio del Conte Galeazzo Ciano incarnava la faccia mondana, garbata, salottiera, certamente non violenta, vanitosa e un po' snob del fascismo (così scrive di lui Montanelli – che ben lo conosceva anche personalmente – in una sua rubrica sul Corriere della sera del 22 settembre del 2000). Un tipo di profilo umano e storico che – per la verità – personalmente non amo troppo, ancorché diffusissimo, specialmente nelle stanze del potere romano (ovviamente, quelle della prima e seconda Repubblica, s’intende). Eppure, bisogna riconoscerlo a merito di Ciano, anche lui, qualche anno dopo, riscattava la sua pavida soggezione al suocero, pagando con la vita la propria tardiva presa di distanza dal Duce, firmando (e alcuni dicono addirittura promuovendo)
il famoso ordine del giorno Grandi che, il 24 luglio del 1943, accelerò la caduta del fascismo: processato a Verona dai “giudici” della Repubblica di Salò, fu condannato per alto tradimento e fucilato non ostanti le intercessioni della moglie Edda Mussolini e la domanda di grazia che, pare, venne addirittura tenuta celata al Duce da coloro che in tanti anni, al Conte, avevano invidiato la posizione di presunto delfino del Duce. Morì dignitosamente, come scrive Montanelli; come, forse, fino al 25 luglio, non era vissuto, per il troppo amore del suo ruolo e per un certo suo spirito cortigiano, che – dove alligna – nuoce persino a chi il cortigiano lusinga.
Così va il mondo; o meglio (per dirla con Alessandro Manzoni) così andava ai tempi di Mussolini e del Conte Ciano. Per fortuna, oggi di petti arditi non ce n’è (quanto meno in orbace); di decisioni irrevocabili nemmeno (anzi, si proclama tutto e il contrario di tutto); è vero, l’Italia è sempre forte, fiera e compatta, ma dal balcone di piazza Venezia non si vedono più adunate oceaniche (semmai solo buche diffuse, ma nessuna camicia nera); e, quanto alle folle plaudenti in tutto il Paese, oggi c’è la rete, un succedaneo meno rumoroso e - ne sono certo - più pensoso: il popolo è al riparo da abbagli clamorosi, il suo alleato non è più il perfido Führer, il capo della grande Germania; anzi, oggi, la Germania è la nostra vera nemica, oggi abbiamo con noi Trump e Orban, perbacco! E la Russia non è più quella di Stalin, oggi c’è l’amico Putin. E dunque non abbiamo ragione di temere la rievocazione di questo triste anniversario; ci basti solo sperare, col Conte, che Dio assista l’Italia.
Roma 10 giugno 2018
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