Per evitare equivoci una premessa personale mi si impone: chi
scrive – come sanno i lettori di questo blog
– è un grande appassionato della cultura ebraica, un amico di Israele
(direbbero alcuni: un sionista) e un cultore delle vicende del popolo ebraico;
inoltre non è uno storico né un filosofo della storia. E’ invece, solo un
appassionato delle vicende degli uomini e dei loro comportamenti; e un
libertario convinto, che rivendica persino il diritto (umano) di essere un
idiota (cioè di pensare idiozie e anche di esprimerle). Questa premessa (che, per quanto breve, temo, mi farà sconfinare dalle consuete 750 parole) potrebbe
tornare utile per la giusta “comprensione” delle parole che seguono.
Libere opinioni
(di Felice Celato)
Come è noto, si sono accese in questi giorni aspre polemiche
attorno alla legge (tuttora da promulgare) con cui (secondo quello che si legge
sui giornali italiani e internazionali in lingua inglese o francese, inclusi
alcuni israeliani) in Polonia è stata stabilita una pena (anche detentiva) a carico di chi accusi la Polonia di
complicità coi crimini nazisti; in particolare si proibirebbe (uso il
condizionale perché, ovviamente, non ho nemmeno cercato la legge che presumo
scritta in polacco) di definire “polacchi” i lager nazisti presenti (fino alla sconfitta della Germania) nel
territorio polacco (soprattutto nella zona di Oswiecim, in tedesco Aushwitz, e
di Brzenzika, in tedesco Birkenau, allora occupata – insieme a vaste altre –
dalla Germania). Non mi appassiona, per la verità, entrare nel merito del
problema, né dal punto di vista formale (era tedesco o polacco un campo
costruito dai tedeschi nel territorio polacco occupato?); nè da quello più sostanziale
(ci fu, nei fatti, attiva collaborazione polacca se non altro nella
gestione di tali campi?). Se dovessi a tutti i costi esprimermi sulla base di
quel che finora ho capito, direi che – da un lato – la legge in questione
evidenzia la volontà del legislatore polacco di prendere radicali distanze dal
nazismo e dalle sue manifestazioni, tanto da sanzionare anche duramente
l’assimilazione storica – sulla questione ebraica – della Polonia occupata (e
anche martoriata dai Tedeschi) alla Germania occupante. D’altro lato, mi è
facile comprendere la sensibilità di chi – con tante ferite ancora sanguinanti –
intravvede nelle norme in questione il rischio (o il tentativo) di introdurre
tematiche riduzioniste o negazioniste, magari utili a dissennati propagandisti
di vecchie e sempre nuove follie, oltreché ad un vacuo ridisegno di vicende tragiche
ormai (si spera) consegnate alla storia.
Però – ed è questo, invece, il nodo delle mie questioni – la
vicenda mi ha evocato un tema, un po’ più
vasto e apparentemente laterale, altre
volte sfiorato con amici e sul quale mi pare di avere un’opinione isolata: ha
senso considerare la storia con intenti diversi da quello del comprendere?
Insomma: il giudizio morale (su eventi del passato) ha una sua giustificazione
storica? Il bene e il male, il buono e il cattivo, sono categorie della storia,
specie quando il giudizio è riferito ad eventi collettivi o ad una società nel
suo complesso? Si badi bene: non mi sfugge che, per esempio di fronte alle
follie umane del nazismo, il giudizio morale venga istintivo (quasi una
ribellione dell’animo) e sia (spero) inequivocabile; e tuttavia dubito
fortemente che un siffatto giudizio possa essere utile rispetto al fine
centrale della storia: la comprensione (nel senso Spinoziano di intelligere: nec ridere, nec flere sed
intelligere). Studiamo la storia per comprendere le sue dinamiche e i
comportamenti dell’uomo nel determinarle e, poi, nell’esserne coinvolto e talora
travolto; non per giudicare (men che meno per pretendere o presentare, fuori
del tempo, insensate scuse), senza essere stato parte delle vicende, ex post, senza aver subito le mille
influenze dei tempi, delle culture magari stravolte, degli inganni che ogni
tempo nasconde; talora lasciandosi affascinare da un “presentismo” che prende la forma specifica di un’indiscriminata
attualizzazione etica (E. Galli Della Loggia, Non si giudica il passato, ne Il
corriere della sera dell’11 7 2017).
Vuol dire, questo, giustificare? Ridurre o aumentare o
comunque modificare il carico delle responsabilità che ciascuno di noi ha sul
presente come ha avuto sul passato di cui è stato parte? Non credo, per la
verità, almeno per quanto è nelle mie intenzioni. Vuol dire semplicemente, per
chi non c’era, intelligere (che è già
esercizio più difficile e faticoso del pronto giudicare; ma sicuramente più
fruttuoso).
Tanto più, tornando allo spunto da cui abbiamo preso le mosse
(la legge polacca), ripugna al mio spirito liberale erigere addirittura una
legge a criterio di giudizio della storia; fondate, infondate o addirittura
idiote che siano le opinioni che se ne hanno; e quand’anche si tratti di
tutelarne una certa lettura o anche di
scongiurarne un’altra.
Roma 3 febbraio 2018
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