giovedì 25 gennaio 2018

Studi-diario ipocondriaco

Morire oicofobico
(di Felice Celato)
L’oicofobia (dal greco oìkos: casa; e phòbos: paura; in qualche modo in senso  opposto a xenofobia, paura dello straniero) è un termine che non conoscevo e del quale mi sono prontamente innamorato (del resto le parole nuove e magari strane mi hanno sempre incuriosito, anche perché la ricchezza del lessico è ricchezza della cultura). L’ho trovato citato in un libro che sto leggendo e del quale forse parleremo in seguito (Edward Luce: Il tramonto del liberalismo occidentale, Einaudi,2017) dove viene attribuito al filosofo inglese Roger Scruton del quale abbiamo, invece, parlato in più occasioni (vedasi, per tutte, il post Letture del 21 3 12). In realtà, da una breve ricerca lessicale, è emerso che forse Scruton l’ha solo riscoperto, questo termine, attribuendogli un senso specifico che è, apparentemente, anche diverso da quello – forse etimologicamente disordinato – in uso in ambito psichiatrico, dove oicofobia starebbe per paura di veder invasa la propria sfera privata (paura del furto di identità, per esempio).
Scruton invece (in Manifesto dei conservatori, Raffaello Cortina Ed, 2007) lo usa nel senso di avversione per la propria casa ed il proprio retaggio; avversione che – qui il “conservatore” Scruton “morde” – sfocia nel ripudio “delle lealtà nazionali”, nella difesa di un presunto “universalismo illuminato…..in antitesi ad uno sciovinismo locale”.
Intendiamoci: altre volte, qui, ci siamo lamentati del rifiuto europeo di riconoscersi nelle proprie radici giudaico-cristiane; anzi, per lamentarci a voce più alta, abbiamo fatto ricorso (Spigolature / 6 del 3 7 2016), come ci viene estremamente gradito, anche ad un venerabile contributo di pensiero alto (L’Europa nella crisi delle culture, conferenza del 1° 4 2005 di J. Ratzinger a Subiaco). E da questo punto di vista, quindi, non avendo cambiato idea, non posso certo attribuirmi almeno uno dei descritti sintomi della malattia (l’oicofobia, appunto intesa come avversione al proprio retaggio). Ma, da perfetto ipocondriaco, le manifestazioni dell’altro sintomo me le sento tutte addosso: ho una profonda avversione per quello che la nostra casa (qui l’Italia) sembra covare nel suo seno in questi nostri tempi (rancori, illusioni mal gestite, propensione alle fole, autopercezioni sbagliate, irragionevolezze, isolazionismi fuori del tempo, ingestibili complessi di Peter Pan, illusori sovranismi, xenofobie più o meno esotiche, emotività pendolare, futilità scambiate per valori, etc. etc.); e temo fortemente che quello che la nostra casa sembra covare nel suo seno abbia anche a manifestarsi, nel corso dell’anno appena cominciato, in indirizzi che è anche difficile prevedere, tanto frastagliato, diviso e confuso è lo scenario politico pre-elettorale.
Insomma: ho paura di noi! Una paura – si badi bene – disconnessa, per ora, da ogni opzione elettorale: siamo noi come elettori a farmi paura, prima e più ancora dei potenziali eletti alle prossime votazioni.
Si dirà: e cùrati, allora, perché così non puoi andare avanti! Fallo almeno per i tuoi (ammorbati) lettori!
Lo farei, lo farei volentieri, vi assicuro; se non fosse che sono in uno stato talmente avanzato della malattia che mi sono convinto di avere ragione, che la malattia non esiste e che la sanità consiste proprio nel vederla come la vedo io! Una specie di eterogenesi dell’ipocondria!
Che si fa? Chi ha consigli, per favore, si faccia avanti presto, mi spiacerebbe morire oicofobico!

Roma 25 gennaio 2018

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