Morire oicofobico
(di Felice
Celato)
L’oicofobia (dal greco oìkos: casa; e phòbos: paura; in qualche modo in senso opposto a xenofobia,
paura dello straniero) è un termine che non conoscevo e del quale mi sono
prontamente innamorato (del resto le parole nuove e magari strane mi hanno sempre
incuriosito, anche perché la ricchezza del lessico è ricchezza della cultura).
L’ho trovato citato in un libro che sto leggendo e del quale forse parleremo in
seguito (Edward Luce: Il tramonto del
liberalismo occidentale, Einaudi,2017) dove viene attribuito al filosofo
inglese Roger Scruton del quale abbiamo, invece, parlato in più occasioni (vedasi,
per tutte, il post Letture del 21 3
12). In realtà, da una breve ricerca lessicale, è emerso che forse Scruton l’ha
solo riscoperto, questo termine, attribuendogli un senso specifico che è,
apparentemente, anche diverso da quello – forse etimologicamente disordinato –
in uso in ambito psichiatrico, dove oicofobia
starebbe per paura di veder invasa la propria sfera privata (paura del furto di
identità, per esempio).
Scruton
invece (in Manifesto dei conservatori,
Raffaello Cortina Ed, 2007) lo usa nel senso di avversione per la propria casa ed il proprio retaggio; avversione
che – qui il “conservatore” Scruton “morde” – sfocia nel ripudio “delle lealtà nazionali”, nella difesa di
un presunto “universalismo
illuminato…..in antitesi ad uno sciovinismo locale”.
Intendiamoci:
altre volte, qui, ci siamo lamentati del rifiuto europeo di riconoscersi nelle
proprie radici giudaico-cristiane; anzi, per lamentarci a voce più alta,
abbiamo fatto ricorso (Spigolature / 6
del 3 7 2016), come ci viene estremamente gradito, anche ad un venerabile contributo
di pensiero alto (L’Europa nella crisi
delle culture, conferenza del 1° 4 2005 di J. Ratzinger a Subiaco). E da
questo punto di vista, quindi, non avendo cambiato idea, non posso certo
attribuirmi almeno uno dei descritti sintomi della malattia (l’oicofobia, appunto intesa come
avversione al proprio retaggio). Ma,
da perfetto ipocondriaco, le manifestazioni dell’altro sintomo me le sento
tutte addosso: ho una profonda avversione per quello che la nostra casa (qui l’Italia) sembra covare nel suo seno in questi nostri
tempi (rancori, illusioni mal gestite, propensione alle fole, autopercezioni
sbagliate, irragionevolezze, isolazionismi fuori del tempo, ingestibili
complessi di Peter Pan, illusori sovranismi, xenofobie più o meno esotiche,
emotività pendolare, futilità scambiate per valori, etc. etc.); e temo
fortemente che quello che la nostra casa
sembra covare nel suo seno abbia anche a manifestarsi, nel corso dell’anno
appena cominciato, in indirizzi che è anche difficile prevedere, tanto frastagliato,
diviso e confuso è lo scenario politico pre-elettorale.
Insomma: ho
paura di noi! Una paura – si badi bene – disconnessa, per ora, da ogni opzione
elettorale: siamo noi come elettori a farmi paura, prima e più ancora dei
potenziali eletti alle prossime votazioni.
Si dirà: e cùrati,
allora, perché così non puoi andare avanti! Fallo almeno per i tuoi (ammorbati)
lettori!
Lo farei, lo
farei volentieri, vi assicuro; se non fosse che sono in uno stato talmente
avanzato della malattia che mi sono convinto di avere ragione, che la malattia
non esiste e che la sanità consiste proprio nel vederla come la vedo io! Una
specie di eterogenesi dell’ipocondria!
Che si fa?
Chi ha consigli, per favore, si faccia avanti presto, mi spiacerebbe morire oicofobico!
Roma 25 gennaio 2018
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