venerdì 12 gennaio 2018

Domande

L’imbecillità è necessaria alla democrazia?
(di Felice Celato)
Facciamo tre premesse prima di inoltrarci in un tema scivoloso: (1) l’imbecillità (dal latino imbecillitas, forse da in e bacillum, cioè senza bastone, per dire debole) è un indebolimento ovvero uno scarso sviluppo dell’intelligenza, una insufficienza mentale di medio grado. E l’imbecille è chi, per difetto naturale o per età o per malattia, è menomato nelle facoltà mentali e psichiche [ dal Vocabolario Treccani]; (2) Come ben detto dal filosofo Maurizio Ferraris (si veda il volume L’imbecillità è una cosa seria, qui segnalato in Letture, post del 1° dicembre 2016) l’imbecillità non è una cosa per pochi né, soprattutto, per gli altri (e in effetti: è difficile dare dell’imbecille a qualcuno senza che qualcun altro ci inchiodi, e con validi motivi, alla nostra imbecillità); (3) dunque nessuno è autorizzato a chiamarsene fuori, guardandosi indietro; tant’è – esemplifica Ferraris – che non mancano esempi di magari transitoria imbecillità di stimati pensatori. E tuttavia forse va riconosciuto (è sempre Ferraris che scrive) che l’imbecillità è il proprio della modernità perché con le potenzialità espressive offerte dal moderno, lo stupido si rivela meglio che in qualunque altra epoca più raccolta e silenziosa.
Premesso ciò, vengo alla domanda che da qualche tempo mi frulla in mente, devo dire potentemente eccitata dal periodo pre-elettorale (ma anche da qualche incursione sui tempi correnti di qualche altro paese): l’imbecillità è diventata un essenziale requisito di sistema per la democrazia?  Beninteso: mi riferisco, qui, alla imbecillità degli elettori prima ancora che a quella degli eletti (ma, se ci pensate bene, ad imbecillità degli elettori non può che corrispondere l’imbecillità dell’eletto, salvo casi eccezionali o, più frequentemente, di totale malafede dell’eletto).
Mi spiego meglio: provate a raffrontare la natura, la vastità e la profondità dei nostri problemi (mi riferisco qui al contesto Italiano, hic et nunc) con la futilità, l’inutilità, anzi la tafazziana dannosità, delle ricette che vengono propinate agli elettori. Dietro a ciò, non c’è forse la certezza che proprio quella futilità, quella inutilità, anzi quella tafazziana dannosità, possano essere la chiave dell’agognato successo elettorale? Non avete l’impressione che si dia per scontato (per carità, non senza fondamento nel reale sperimentato), che solo propalando delle autentiche baggianate (dalla doppia valuta al reddito per tutti senza prodotto, dalla abolizione dell’obbligo di vaccinazione a quella  della legge Fornero, etc. etc.) si possa conquistare il favore dell’ elettorato? E che necessariamente, quindi, occorra supporre questo elettorato costituito da  una manica di imbecilli, senza alcuna capacità di discernimento e di senso critico, ovvero, (volendo dare all’ipotesi un flavour DeRitano), accecata da un distruttivo rancore che ne ottunde la ragione? E non nasce, tutto ciò, dall’assunto che la moderna democrazia (suffragio universale, libertà di opinione e di stampa, elevata connotazione mediatica della società, etc) naturalmente postula l’esistenza di una larga prateria di imbecillità da cavalcare in lungo e in largo come  fattore fondamentale del successo politico? Senza una dose più o meno grande di diffusa imbecillità si potrebbe aspirare con successo al governo di un paese evitando di dire sciocchezze?
In quest’ottica, se ci si volesse sottrarre anche ad uno solo dei corni di  quella ambigua eziologia (o l’imbecillità pura degli elettori o un loro accecato rancore che tuttavia li rende imbecilli) apparentemente nessuno potrebbe fondatamente aspirare al governo del paese; nessuno ascolterebbe, nessuno crederebbe, nessuno attribuirebbe valore nemmeno ai ragionamenti più piani. Provate ad immaginare, tanto per fare un esempio banale ma estremamente realistico: se l’ormai monotona rivisitazione dell’eterno problema del debito pubblico (in fondo anche facile da capire, come dimostrano chiaramente Alesina e Giavazzi sul Corriere della sera di ieri) fosse proposta da un politico ad un qualsiasi talk-show magari in contraddittorio (meglio: contraurlatorio) con, chessò, un feroce avversatore della legge Fornero; chi raccoglierebbe più consenso? E poiché il consenso è lo strumento della democrazia…. occorrerebbe (amaramente) concludere: nullum votum sine sollicitatione imbecillitatis.
Il fatto che, per fortuna, “disturba” questa conclusione è, però, che fra i tanti difetti di noi italiani (che mi pare di vedere con grande chiarezza) non c’è mai stato quello della scarsa intelligenza (magari se dimentichiamo l’ormai lontano ventennio)….. E allora? Forse mi sbaglio: vedremo.
Roma 12 gennaio 2018


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