lunedì 20 febbraio 2017

Spigolature del week end

Rispettare le parole
(di Felice Celato)
Torno su un tema che – come sanno i lettori di questo blog – mi è particolarmente caro (forse un’ossessione, diranno i lettori malevoli); tanto che persino qualche giorno fa sono venuto a parlarne, rifacendomi nientemeno che a Nanni Moretti e alla sua Palombella rossa. Anzi, per il 2017, avevo addirittura formulato a noi stessi l’augurio ( 5 auguri per l’anno nuovo, post del 30 XII 2016) che l’anno nuovo ci vedesse sempre rispettosi del significato delle parole, perché non venga meno, senza che ce ne accorgiamo, la capacità di capirci fra di noi, perché, scrivevo (mi si perdoni l’autocitazione, ma il concetto mi pareva ben espresso), le parole – se usate dopo essere state pensate e scelte – sono le custodi della nostra umanità: se si corrompono le parole, se le si usa con scialba noncuranza, si deteriora la nostra capacità di comunicare, una delle essenziali caratteristiche che ci fanno diversi dalle bestie.
E dunque, ancorché me ne fosse fino a ieri sfuggita la notizia, ho appreso con grande piacere che a Trieste, proprio in questi giorni, è stato “lanciato” un Manifesto della comunicazione non ostile (se ne può facilmente trovare il testo su Google e vale la pena di leggerlo) destinato, mi pare di capire, a contrastare lo hate speech (l’odioso e violento linguaggio tanto diffuso specie sui social media; ma non solo lì, per la verità). Dal “decalogo” di questo Manifesto traggo tre principi che, fra gli altri, mi paiono particolarmente adatti a costituire una guida anche al di fuori dell’ambito (il linguaggio dei social media, in primis) nel quale è nata l’iniziativa. Eccoli:
Le parole danno forma al pensiero: e dunque – si dovrebbe dedurre – se non c’è pensiero non ci siano parole, affinché non aleggino “forme” senza “sostanze”! Le parole, esse stesse, non sono sostanza in sè, come fingono di credere molti nostri politici; e come noi spesso siamo portati – magari inconsciamente – a ritenere, quando ci accodiamo all’uno o all’altro di essi sulla base di parole dietro alle quali non si intuisce alcuna certa sostanza. Un esempio basterà: che vuol dire sventolare la bandiera politica delle riforme (una volta si diceva addirittura del riformismo) se non si dice quali riforme?
 “Le parole hanno conseguenze”: questo, ai dì nostri, sembra essere il più ignorato dei princìpi, eppure sarebbe il più facile da comprendere. Ne abbiamo più volte parlato ricordando la “tragica” sequenza che ha avuto troppo spesso storiche evidenze: da parole sbagliate a concetti sbagliati, da concetti sbagliati a sentimenti pericolosi, da sentimenti pericolosi ad azioni sconsiderate o, peggio, tragiche. Ma quand’anche non si volesse considerare la sequenza tragica, a che cosa servirebbero le parole se non a generare conseguenze, foss’anche “solo” quella di far conoscere un sentimento (che, appunto, meriti di essere conosciuto)?
Si è ciò che si comunica: questa identità è assai impegnativa perché implica che le parole (ciò che, appunto, comunica ….almeno fra gli uomini) esprimano l’identità affettiva ed intellettuale di chi le usa. A parole vuote corrispondono persone vuote, direi immancabilmente e biunivocamente. E qui gli esempi potrebbero dilagare; ma forse è più prudente che ognuno si faccia i suoi.
Fin qui la “spigolatura” dalle letture del week end. Che potrebbe ampiamente bastare per costruire (o ricostruire) il “sacro” rispetto che dobbiamo alle parole (intendiamoci: alle parole come significanti, non come “idolo” lessicale da puristi!).
Il terzo principio, però, mi suggerisce una “lettura” cristiana, su un piano tutt’affatto diverso: chi infatti dovrebbe meglio capire questa identità (il “comunicante” è quello che  "comunica") se non coloro che credono che “la Parola” è Dio? In principio era la Parola [in latino il Verbum, in greco il Logos] e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio. (Giov. 1,1). Non a caso, il papa Benedetto XVI, parlando al Sinodo dei Vescovi del 2008, diceva: Umanamente parlando, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra esser niente. Ma già la parola umana ha una forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. E’ la parola che forma la storia, la realtà. Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà.
Di qui, credo, per noi cattolici una ragione in più per rispettare la parola (e per amare la Parola).
Roma, 20 febbraio 2017













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