Rispettare le parole
(di Felice Celato)
Torno
su un tema che – come sanno i lettori di questo blog – mi è particolarmente caro (forse un’ossessione, diranno i
lettori malevoli); tanto che persino qualche giorno fa sono venuto a parlarne, rifacendomi
nientemeno che a Nanni Moretti e alla sua Palombella
rossa. Anzi, per il 2017, avevo addirittura formulato a noi stessi l’augurio
( 5 auguri per l’anno nuovo, post del 30 XII 2016) che l’anno nuovo ci
vedesse sempre rispettosi del significato
delle parole, perché non venga meno, senza che ce ne accorgiamo, la capacità di
capirci fra di noi, perché, scrivevo (mi si perdoni l’autocitazione, ma il
concetto mi pareva ben espresso), le
parole – se usate dopo essere state pensate e scelte – sono le custodi della
nostra umanità: se si corrompono le parole, se le si usa con scialba
noncuranza, si deteriora la nostra capacità di comunicare, una delle essenziali
caratteristiche che ci fanno diversi dalle bestie.
E
dunque, ancorché me ne fosse fino a ieri sfuggita la notizia, ho appreso con
grande piacere che a Trieste, proprio in questi giorni, è stato “lanciato” un Manifesto della comunicazione non ostile
(se ne può facilmente trovare il testo su Google
e vale la pena di leggerlo) destinato, mi pare di capire, a contrastare lo hate speech (l’odioso e violento
linguaggio tanto diffuso specie sui social
media; ma non solo lì, per la verità). Dal “decalogo” di questo Manifesto
traggo tre principi che, fra gli altri, mi paiono particolarmente adatti a
costituire una guida anche al di fuori dell’ambito (il linguaggio dei social media, in primis) nel quale è nata l’iniziativa. Eccoli:
“Le parole danno forma al pensiero”:
e dunque – si dovrebbe dedurre – se non c’è pensiero non ci siano parole,
affinché non aleggino “forme” senza “sostanze”! Le parole, esse stesse, non
sono sostanza in sè, come fingono di credere molti nostri politici; e come noi
spesso siamo portati – magari inconsciamente – a ritenere, quando ci accodiamo
all’uno o all’altro di essi sulla base di parole dietro alle quali non si
intuisce alcuna certa sostanza. Un esempio basterà: che vuol dire sventolare la
bandiera politica delle riforme (una volta si diceva addirittura del riformismo) se non si dice quali
riforme?
“Le
parole hanno conseguenze”: questo, ai dì nostri, sembra essere il più
ignorato dei princìpi, eppure sarebbe il più facile da comprendere. Ne abbiamo
più volte parlato ricordando la “tragica” sequenza che ha avuto troppo spesso
storiche evidenze: da parole sbagliate a concetti sbagliati, da concetti
sbagliati a sentimenti pericolosi, da sentimenti pericolosi ad azioni sconsiderate
o, peggio, tragiche. Ma quand’anche non si volesse considerare la sequenza
tragica, a che cosa servirebbero le parole se non a generare conseguenze,
foss’anche “solo” quella di far conoscere un sentimento (che, appunto, meriti
di essere conosciuto)?
“Si è ciò che si comunica”: questa
identità è assai impegnativa perché implica che le parole (ciò che, appunto,
comunica ….almeno fra gli uomini) esprimano l’identità affettiva ed
intellettuale di chi le usa. A parole vuote corrispondono persone vuote, direi
immancabilmente e biunivocamente. E qui gli esempi potrebbero dilagare; ma
forse è più prudente che ognuno si faccia i suoi.
Fin
qui la “spigolatura” dalle letture del week
end. Che potrebbe ampiamente bastare per costruire (o ricostruire) il “sacro”
rispetto che dobbiamo alle parole (intendiamoci: alle parole come significanti,
non come “idolo” lessicale da puristi!).
Il
terzo principio, però, mi suggerisce una “lettura” cristiana, su un piano
tutt’affatto diverso: chi infatti dovrebbe meglio capire questa identità (il “comunicante” è quello che "comunica")
se non coloro che credono che “la Parola” è Dio? In principio era la Parola [in latino il Verbum, in greco il Logos] e la Parola era presso Dio e la Parola era
Dio. (Giov. 1,1). Non a caso, il papa Benedetto XVI, parlando al Sinodo dei
Vescovi del 2008, diceva: Umanamente
parlando, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito.
Appena pronunciata, scompare. Sembra esser niente. Ma già la parola umana ha
una forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole
che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. E’ la parola
che forma la storia, la realtà. Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di
tutto, è la vera realtà.
Di
qui, credo, per noi cattolici una ragione in più per rispettare la parola (e
per amare la Parola).
Roma,
20 febbraio 2017
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