giovedì 2 febbraio 2017

Letture

Oh, Dio mio!
(di Felice Celato)
Dopo tanto tempo, eccomi qua con una segnalazione di una lettura “lieve”, non banale, però, anzi profonda e anche commovente. Si tratta, stavolta, non di un romanzo ma di un copione, il testo di un’opera teatrale scritta da un’autrice Israeliana, Anat Gov, scomparsa qualche anno fa: Oh, Dio Mio! (Giuntina, 2016). La “storia” è semplicissima. La sintetizzo, senza tema di sciupare il gusto della lettura a chi vorrà farla, perché non è la “storia” il succo del libro, ma i felicissimi dialoghi, ricchi di riferimenti biblici e intessuti di un umorismo delicato e intelligente, direi tipico della cultura ebraica (che, come sapete, io amo molto). Una psicologa, Ella, riceve un misterioso paziente, il signor D., che soffre, da duemila anni, di una forte depressione; e scopre che il misterioso paziente altri non è se non Dio, Dio in persona, un Dio che si è ritratto dalla storia per lasciare la Sua creazione nelle mani del libero arbitrio delle Sue creature. Il caso è complicato, dal punto di vista della psicologa, perché il signor D. non ha nemmeno una madre (o un padre) da incolpare per i suoi problemi; che si trascinano ormai da lungo tempo, da quando, dopo il Suo tempestoso, ultimo colloquio con Giobbe, si è spogliato della cosa più preziosa che aveva, il suo potere, in modo da non ferire più gli altri. E lo ha lasciato a noi, il Suo potere, sicchè oggi siamo noi a soffrire della malattia del potere. Il che, se è possibile, Lo rende ancora più ricco di bontà, misericordia e benevolo e pieno di compassione…per noi.
Un libro, dicevo, molto piacevole, a tratti anche spiritoso, direi profondamente ebraico anche nella concezione, in fondo espressione di quella straordinaria confidenza con Dio che costituisce uno dei tratti speciali della religiosità dei nostri fratelli maggiori; un tratto, se vogliamo, che noi cristiani forse non abbiamo sviluppato appieno, per lo meno non diffusamente, noi che, pure, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe lo crediamo incarnato in nostro Signore Gesù Cristo e lo abbiamo persino contemplato bambino.
Del resto, attraverso tanti secoli di discorsi con Dio e su Dio, gli ebrei hanno acquisito questa capacità di sentirLo veramente in mezzo a loro, persino pronto a sentirsi sfidare sia giocosamente (come avviene nel testo di Anat Gov) che drammaticamente: ricorderete tutti Mosè, Es. 32,32: Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato….Altrimenti cancellami dal Tuo libro che hai scritto!; e forse anche lo sconvolgente Yossil Rakover, dal Ghetto di Varsavia (cfr.,su questo blog, Letture del 7 febbraio 2013): Hai fatto di tutto perché non avessi fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso da un’incrollabile fede in Te!
Qui, nel libro della Gov, certamente, siamo ben lontani da ogni tensione drammatica; ma l’ironia lieve può anch’essa nascondere una lagnanza, una lagnanza mite (Mio caro signore – dice Ella a D. – dopo Giobbe nessuno l’ha più vista né sentita… dopo che, nei duemila anni precedenti, lei non è stato zitto un momento…..lei è svanito come se il cielo l’avesse risucchiata!), lagnanza che si stempera nel finale, forse profondamente religioso.
Un bel libro insomma, che mi sento di segnalare con la certezza di raccomandare una lettura gradevole e interessante.
Roma 2 febbraio 2017




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