giovedì 16 febbraio 2017

Babele

Svuotamenti
(di Felice Celato)
Il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini si stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un unico popolo ed hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare [una torre la cui cima tocchi il cielo] non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo si chiamò Babele, perché il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. Fin qui il libro della Genesi, al capitolo 11, quando tutta la terra aveva[ancora]un’unica lingua e uniche parole e l’uomo ancora una volta sfidava Iddio.
Mi veniva in mente, questo passo della Bibbia, stamattina quando, facendomi forza, provavo a leggere i commenti dei “politici” del PD attorno alle loro stesse verbigerazioni. Mi domando [attingo da virgolettati del Corriere della sera] come sia possibile fare una scissione sulla data di convocazione del congresso e non sulle idee, si chiede Renzi, con oscuro richiamo alle “idee”; ma, “chiarisce” D’Alema, in realtà Renzi non ha capito: quella che viene chiamata scissione è in realtà il suo contrario, vedere se è possibile un processo costituente del centro-sinistra. Del resto, “chiarisce“ ancora meglio Orlando, alle terze vie credo poco, la cosa più importante è evitare ulteriori fratture. Si impone allora una precisazione; e la dà Bersani: Il PD non c’è più e la strada è segnata. Non si scherza. Per fortuna del PD (ma non è detto che sia anche la nostra), ci sono i giovani del PD che si candidano ad essere i caschi blu del partito. Anche se uno di questi “chiarisce” che occorre combattere il partito di Renzi, personale e leaderistico, per impedire una deriva dall’esito irreparabile. Questo è il dibattito sulle idee, per l’appuntamento che Bersani icasticamente definisce cotto e mangiato.
E sul cotto non si può non essere d’accordo.
Confesso di non nutrire alcuna simpatia per intellettuali-di-sinistra, radical chic, girotondini, assimilati e presunti; ma riconosco volentieri al regista Moretti il merito, fra gli altri più propriamente artistici, di una grande intuizione (in Palombella rossa, un film da rivedere, magari prima dell’appuntamento cotto e mangiato): chi parla male, pensa male e vive male. Un grande merito! Una “verità”, a mio parere, intramontabile, espressa anche con grande efficacia (*). Il problema però non sta tanto, come scrive oggi, anche brillantemente, Severgnini sul NYT, nella semplice corruzione del linguaggio che ha sviluppato la propensione degli Italiani all’abuso di scurrilità; la parolaccia, quando è in bocca a chi sa di usarla e non è dilagante, può anche conferire al linguaggio un’efficacia superiore a quella di tanti eufemismi. Se il generale Cambronne avesse risposto agli inglesi Suvvia, non insistete! invece di usare la famosa espressione scatologica che lo ha reso famoso, magari molti francesi sarebbero sopravvissuti alla battaglia di Waterloo ma certamente il generale non avrebbe meritato il plauso di Victor Hugo (fulminare il nemico che ti annienta con una tale parola, vuol dire vincere).
Il problema è, secondo me, assai più grave: e sta tutto nell’ormai dilagata scissione (questa sì, vera scissione!) dei significanti dai significati; una scissione, una ventosa disgregazione, che – beninteso – si compie ogni giorno nei linguaggi di tutti (pensate alle tempistiche, alle problematiche, alle tematiche, etc); ma che è tanto più insidiosa quanto più acquisisce valore di linea politica, soprattutto in periodi di vere emergenze concrete. I significanti (successione di fonemi) aleggiano allora del tutto liberi dal sottostante elemento concettuale, senza obbligo di corrispondere ad alcunché di concreto e quindi liberi di “stabilire” – con invadente genericità – qualcosa che, per definizione, non postula riscontri fattuali, magari da sostanziare: basta l’enunciato e bastano i successivi enunciati sull’enunciato (il parlare del parlare, come diceva qualche tempo fa De Rita); purché l’enunciato sia di successo.
Dunque il parlar male di Morettiana memoria non è l’esprimersi trivialmente ma, soprattutto, l’esprimersi vacuamente. E’ questa vacuità il segno di Babele dei dì nostri. Sicché l'antico motto greco-latino quos Deus perdere vult, prius dementat (Dio priva della ragione coloro che vuol perdere) oggi potrebbe essere quos Deus perdere vult, prius exhaurit, Dio “svuota” coloro che vuol perdere, per disperderli su tutta la terra.
Roma 16 febbraio 2017


(*) per rivedere la scena, su YouTube, basta cercare Nanni Moretti Le parole sono importanti. Vale la pena.

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