domenica 12 febbraio 2017

La storia e la colpa

Il lavoro sulla coscienza
(di Felice Celato)
Una premessa, prima di tentare di svolgere un ragionamento fra noi: io sono convinto che i prossimi passaggi politici del mondo (occidentale, Italia compresa) si giocheranno sulla partita del sovranismo; per tale intendendosi, almeno qui, la reazione ideologico-emotiva alla cosiddetta globalizzazione – forse la cifra dell’ultimo trentennio, variamente intesa – in chiave neo-nazionalista, cioè, appunto, come si dice oggi con felice espressione, sovranista; si vedano qui i post Spigolature globaliste del 16 gennaio e Inquietudini occidentali del 28 gennaio, coi quali abbiamo cominciato a ragionare sul tema.
I sovranismi dei dì nostri si giocano tutti, in tutto il mondo (da Trump alla Le Pen, da Brexit a Salvini, a Farange, a Gert Wilders, a Jobbik , a Grillo, etc.), sul contro: contro la globalizzazione, contro l’immigrazione, contro l’Europa, contro la Cina, contro l’Euro, contro i mercati, contro “i burocrati di Bruxelles” di Renziana memoria, etc. etc..; quando si parla del per, i discorsi si fanno vaghi: per la gente comune, per rifare grande la Francia o il Regno Unito, per gli interessi dell’America (America first), per il popolo, etc.. Tutti gli alfieri del sovranismo vogliono, infatti, ridare la parola al popolo (fa eccezione Trump, espressione recente della parola del popolo), quasi mai dicendo per fare che cosa di preciso e non sempre sapendo bene cosa il famoso popolo veramente vorrebbe, ma solo presumendolo mentre si confeziona la narrazione che supporta la tesi. Interessante, al riguardo, l’odierno commento di Les Echos che svela uno dei correnti pregiudizi sulla vera volontà del cosiddetto popolo, sull’euro, appunto; e l’esempio che fa, riferito alla Francia, si adatta a pennello a tante retoriche italiane: siamo sicuri che gli Italiani, detentori di (malcontati) 4.000 miliardi di € in risparmi finanziari – circa 2,5 volte il PIL – vorrebbero vederli convertiti in una nuova lira da svalutare ogni sei mesi? O che vorrebbero vedersi pagate le loro pensioni in nuove lire con le quali comprare sempre meno beni venduti da nazioni a valuta “forte”?
Diceva Clark in un magnifico libro qui citato più volte sui prodromi della Grande Guerra (I sonnambuli) che giudicare la storia secondo approcci basati sul tema della colpa espone al rischio che si finisca per incolpare soggetti sbagliati e che i giudizi si fondino su convinzioni preconcette per le quali necessariamente un attore debba essere dalla parte del giusto e l’altro colpevole.
Ma non si può fare a meno di chiedersi se la storia non possa (anzi non debba) essere giudicata sul metro della coscienza degli attori, per tale intendendosi, qui, la desta consapevolezza, la percezione della posta in gioco, la valutazione delle conseguenze delle scelte che si propongono (anche se le si propone solo in negativo), al di là del semplice rivolgimento politico che una radicale scelta sovranista determinerebbe nel breve (tipicamente: non governerebbero più loro ma governeremmo noi).
Io ho la sensazione che i più robusti supporti del sovranismo italiano siano due; anzi (come vedremo subito) in verità uno: la necessità di un radicale cambiamento della classe dirigente del paese, essendosi l’attuale provata incapace di affrontare in maniera efficace il declino al quale ha accompagnato il paese; perché l’altro supporto, quello conclamato, cioè il recupero di una dimensione sovrana ai nostri problemi, se solo venisse affrontato con serietà, si rivelerebbe facilmente per quello che è: un inganno evidente, un giudizio ….assai poco giudizioso.
E, difatti, fra le imperdonabili debolezze della classe dirigente Italiana (quella, diciamo così, almeno a parole non sovranista) c’è prima di tutto il nessun lavoro fatto sulla coscienza della posta in gioco. Certo non mancano le analisi inequivoche, le voci cosiddette autorevoli, gli allarmi pensosi; ma un vero lavoro sulla coscienza…diciamo extra-elitaria, una semplificazione veritiera, efficace e ben comunicata è mancata davvero.
Ci pensavo qualche giorno fa, parlando – come è mia abitudine – con un fiero tassista; se avessi dovuto viaggiare fino a riuscire a rimuovere dalla sua testa le opinioni che vi aveva depositate, proprio su queste cose, oggi questo post lo avrei scritto da Amsterdam!
Roma, 12 febbraio 2017


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