Non per, ma
(di
Felice Celato)
L’uomo
non è per il profitto; ma il profitto è per l’uomo. Ecco, mi pare che questa
osata antitesi chiasmica (Dio mi perdoni!) racchiuda tutto il mio pensiero
sulla questione che di tanto in tanto riemerge ( sempre più frequentemente) fra
comunisti, catto-comunisti, assimilati (e presunti). Ne ho già parlato con un post del 2 maggio 2015 (Sloghiamo gli slogan) e, quindi, non ci
torno sopra (chi vuole trovarvi elementi per “contestarmi” non ha che da
clickarci sopra e rileggerlo).
Ma
la struttura di questa antitesi mi piace; se volete al posto di profitto potete
mettere il mercato, così siete perfettamente in linea col pensiero del papa
(almeno quello emerito, cfr C.i.V. 36). E, ancora, se volete, potete “manipolare”
l’antitesi dicendo, credo fondatamente: l’uomo non è per il lavoro, ma il
lavoro è per l’uomo; o anche: l’uomo non è per il denaro ma il denaro è per
l’uomo. Insomma, l’uomo non “finisce” negli strumenti di cui vive, non si
“annega” o “annulla” in essi, non si “confonde” con essi; ma, invece, questi
strumenti servono l’uomo, che è il
centro di ogni umanesimo, sia cristiano che non cristiano. Il fatto è che, la vera
natura di questo “servizio”, è l’uomo
che la decide, non lo strumento. In questo sta la sublime e terrificante
potenza della coscienza.
Anche
il più apparentemente “scandaloso” degli esempi appena fatti (l’uomo non è
fatto per il denaro ma il denaro per l’uomo) ha, secondo me, una sua radicale
fondatezza: pensate al denaro che l’uomo, nella sua storia, ha utilizzato per
costruire case, città, ponti, dighe, chiese (o sinagoghe o moschee), opere
d’arte immortali o per attuare imprese che hanno cambiato la faccia del mondo
(chissà quanto costò l’impresa delle tre caravelle? O quanto costa la ricerca
sul cancro nel mondo?); ma anche pensate a quello che l’uomo ha (malauguratamente)
speso non solo, follemente, per distruggere ciò che aveva costruito ma persino
per annientare i suoi fratelli. Il denaro era lo stesso, non cambiava colore;
era la scelta dell’uomo che era diversa!
Si
dirà, non senza molte ragioni, che il denaro ha la singolare capacità di esercitare
una perversa tentazione (quella del potere insito nell’essere – il denaro – una
riserva di umana – e perciò fragile – potenza); e che la esercita forse più di
ogni altro” strumento” che fa girare la “vita” del mondo. Non saprei dire se è sempre vero; e se la nota frase forse attinta da Lutero nella retorica medioevale (“il denaro è lo sterco
del diavolo”) riflette con compiutezza la potenza ambigua del denaro. Direi forse di no; e, paradossalmente, confermerei il no anche quando concentrassi
l’attenzione sull’uso più facilmente condannabile del denaro, quello bellico:
fu un male spendere una massa enorme di denaro per organizzare e attuare lo
sbarco in Normandia? E’ stato “lo sterco del diavolo” che ha travolto il
nazismo?
Siamo,
secondo me, al solito crocevia dove…il traffico è diretto dalla “desta vigilanza”: “bene e male rimangono una possibilità presente in ciascuno,
un’alternativa che nulla può cancellare” (G. Cucci e A. Monda: L’arazzo rovesciato, Cittadella, 2010,
pg 78); e, anche, amaramente “la linea
che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno. Chi distruggerebbe
un pezzo del proprio cuore?” (A. Solzenicyn, citato ne L’arazzo rovesciato, pg 77).
Per
tornare al denaro, ogni buon frequentatore del Nuovo Testamento ricorda quei
famosi trenta denari, prezzo del tradimento e, pure, del campo del vasaio “per la sepoltura degli stranieri” (Mt.
27, 7); ma forse anche – dobbiamo l’acuta citazione nientemeno che a Margaret
Thatcher – il buon Samaritano che…”il giorno dopo, presi due denari li diede
all’oste e gli disse: ‘prenditi cura di lui e tutto ciò che spenderai di più,
te lo rimborserò al mio ritorno ’”(Lc. 10, 35); oppure, sublime supremazia
dei fini sui mezzi : “Perché non si è
venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai
poveri?....Lasciala stare…perché i poveri li avete sempre con voi; ma me, non
mi avete per sempre” (Gv. 12, 5 e sgg).
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