giovedì 4 febbraio 2016

Stupi- diario dei diecimila passi

Mendicanti e politicanti
(di Felice Celato)
Diecimila è – pare – il numero dei passi giornalieri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per preservarsi in buona salute. Ed io, sentendo avvicinarsi l’età in cui la salute diventa per tutti un problema, cerco di mettere in pratica la “prescrizione” salutistica. La mia inseparabile app mi monitora quotidianamente, gratificandomi, nella mattinata successiva, di faccine ridenti quando il giorno prima ho raggiunto l’obbiettivo, e mortificandomi con emoticon di rimprovero quando l’ho mancato; le faccine ridenti sono, ovviamente, la prima ( e talora l’unica) buona notizia della giornata. (NB: purtroppo l’app non è sincronizzata col meteo e perciò non tiene conto dei giorni di pioggia, del resto scarsi in questo periodo! Dovrò lamentarmene con lo "sviluppatore").
E diecimila passi (sapete la mia ossessione per i numeri!) sono pari più o meno 8,5 km (infatti, dopo ripetute misurazioni, ho avuto conferma che il mio passo è mediamente di 85 cm!), corrispondenti a poco più di un’ora e mezzo  di cammino (considerato che la mia media è di 5,3 km l’ora!); dunque due ore di cammino (tenete conto dei semafori e delle piccole soste di cui vi dirò subito!) sono anche uno spazio temporale prezioso per la mente e lo spirito! Fra l’altro, molti argomenti di questi post nascono proprio in quelle due ore (e fermati, allora! diranno molti di voi, specie quelli che si sentono comunque in buona salute!).
Ora, a Roma, di questi tempi, diecimila passi in zone centrali significano più o meno 10 mendicanti al giorno incontrati per via (uno ogni mille passi, mediamente): prevalentemente est-europei o, in area Parioli, Nigeriani (in realtà, di solito, forse per non sentirsi mendicanti, offrono in vendita calzini ma accettano di buon grado anche una semplice elemosina); gli Italiani sono più rari e spesso più “strutturati” nella loro richiesta di aiuto.
Vi assicuro che vale la pena di “chinarsi” (vedasi il post del 14 7 13, Un verbo di uso comune, ) per ascoltarli brevemente; fa bene anche a loro sentirsi interlocutori di qualcuno, anche se questo qualcuno qualche volta si scusa per aver finito le monetine ("non te preoccupare, amico, me basta un sorriso" mi ha detto una volta l'est-europeo che chiede l'elemosina a via Arenula). E fa bene anche a noi, se ci capita di riflettere sulle loro storie che sono sempre interessanti (spesso mi dolgo di non essere un romanziere!).
Bene; prima di raccontarvi la cosa divertente che mi è capitata oggi, va fatta un’altra premessa: in Italia siamo soliti fare uso dei cellulari senza alcun rispetto per l’altrui e per la nostra privacy; così, sempre camminando, mi capita l’occasione di ascoltare spezzoni di conversazioni telefoniche ad alta voce che, anch’esse, mi fanno spesso riflettere.
Dunque oggi mi sono fermato a parlare brevemente con un mendicante italiano che aveva, scritta su un cartello indossato come fosse un uomo-sandwich, una storia da raccontarmi, fatta di abbandono e di assenza di ogni supporto da parte di qualsiasi autorità che lo tutelasse dalle infamie subite. Mentre parlava proprio di questa assenza, è passato un giovane, vestito con quell’eleganza un po’ pomposa che è propria di alcuni sè-pensanti “classe dirigente”, che parlava ad alta voce al suo cellulare, con un forte accento romanesco: “ ce vo’ un provvedimento pe ffà  ‘na commissione pe' cercà d’annà a capì qual è er probblema”.
Inevitabile un attimo di interruzione delle due chiacchiere col mendicante (mi pare settentrionale): “Ecco, lo vede – mi fa  questi devono fare una commissione per cercare di andare a capire qual è il problema; ma perché non lo domandano a me, qual è il problema!”
Beh! Come si fa a dargli torto.
Roma, 4 febbraio 2016


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