Mosè e il Faraone
(di
Felice Celato)
Un
amico, che da più tempo di me (e con maggior “grazia” ed audience di me) si sforza di mantenere vivo un colloquio fra umani
in questo deserto della ragione che sta diventando il nostro paese, ha mandato
agli amici una riflessione che considero molto saggia (e perciò la trascrivo –
e la sottoscrivo – integralmente) : “Depende, de qué
depende, de según como se mire todo depende”, ripeteva un successo dei
Jarabe de Palo: gli eventi non hanno mai una sola dimensione, non si
esauriscono mai in una sola narrazione; la loro interpretazione e la loro
drammaticità dipendono dal nostro punto di osservazione e da quanto il loro
esito tocca da vicino la nostra vita. Più numerosi e più diversi
tra loro sono i punti di osservazione in cui riusciamo a immedesimarci,
maggiore sarà la probabilità di avere un quadro realistico e di riuscire a
farci una opinione più oggettiva e completa. E allora (forse) riusciremo anche
a capire per quale soluzione tifare.
Non
per dargli torto (mi piacciono immensamente le diatribe fra persone dotate di
testa non solo per spartire le orecchie, ma non fino al punto da negare gli
enunciati più veri per il gusto di un’amichevole polemica!), però ci ho
riflettuto sopra a lungo ed eccovi qua il “frutto” (poco succoso) di questa
riflessione.
Partirò
da una frase che mi ha molto colpito, tratta dal libro che ho segnalato qualche
giorno fa (Ponzio Pilato, di A.
Schiavone, Einaudi, 2016): Per l’occhio
di Dio il tempo non è un fiume che scorre imprevedibile [come è per noi
umani, NdR], ma un immobile blocco di
ghiaccio, interamente percettibile con un unico sguardo.
Bene,
questa è “la prospettiva” di Dio che tutto sa; ahimè! tanto distante da quella
degli uomini che poco o nulla sanno (anche quando credono di sapere) e che,
pure, come dice il mio amico, devono sforzarsi di “comprendere” la dimensione
degli eventi nella varietà dei punti di vista (troppo giusto!).
E
che, però, alla fine, nel loro tempo devono agire (magari si trattasse solo di tifare!).
Ma “comprendere”
non è “agire”; purtroppo, del tempo, non siamo solo spettatori ma anche attori,
ancorché ogni azione ragionevole presupponga uno sforzo quanto più intenso
possibile per “comprendere” ( e anche per comprendere il punto di vista degli
altri, beninteso) prima di “agire”. L’azione nel tempo (un fiume che scorre imprevedibile)
purtroppo è soggetta alla naturale imprevedibilità dei suoi effetti, non solo
statica (cioè, per così dire, a bocce ferme) , ma anche dinamica (cioè in
funzione di come gli altri faranno rotolare le loro bocce, in un bocciodromo,
peraltro, senza sponde, dove ogni boccia tende a seguire l’impulso dinamico di
chi l’ha lanciata). Il tempo non è, per noi,
un immobile blocco di ghiaccio, interamente percettibile con un unico sguardo; è
invece, mi si passi l’abuso della banalizzazione, il bocciodromo senza sponde
dove ognuno fa il suo gioco, in parte prevedibile (cioè “conoscibile” o
stimabile ex ante) in parte
imprevedibile. Ogni decisione dell’uomo, come ben sa chiunque abbia dovuto
prendere delle decisioni, viene assunta – per quanto se ne siano studiati
accuratamente natura ed effetti – in condizione di incertezza, non solo del
futuro ma anche della qualità della comprensione del presente (e del passato
che su tale presente stende comunque la sua ombra). E, per l’uomo, il metro di
questa decisione, per quanto amaro possa apparire il confessarlo, è ciò che è
meglio fare per lui, al quale – con tutti i suoi limiti – la sua comunità è
affidata; forse ben poteva Mosè immedesimarsi (segùn como se mire) nelle ragioni del Faraone (“Ecco, ora che il popolo è numeroso nel
paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?”Es.5,5), ma
ciononostante decise per l’Esodo, perché alla sua azione la comunità degli
Israeliti era stata affidata.
Certo
l’uomo può ben decidere, nell’incertezza, di non agire; ma anche questa è una
scelta, in qualche modo la decisione di non decidere è essa stessa una decisione,
con i suoi intrinseci rischi, spesso non
diversi da quelli dell’azione (ragionevole).
Concludo:
todo depende de segùn come se mire,
ma l’azione ragionevole, dopo un’intensa attività di comprensione, esige una
sintesi attiva, dove, magari, qualche punto di vista risulti sacrificato; e
senza che un punto di vista (una narrazione,
come dice il mio amico, o come direbbe Vendola) venga elevato a puntello
paralizzante.
Sennò,
avrà anche compreso bene, l’agricoltore che non sa quale cereale seminare,
studiando e ristudiando, i vantaggi del grano rispetto all’orzo o della segale
rispetto al sorgo o del riso rispetto al mais; ma se non semina prima che cada
la neve, in estate il suo campo sarà sterile.
Roma
15 febbraio 2016
Nessun commento:
Posta un commento