lunedì 15 febbraio 2016

Comprendere per decidere

Mosè e il Faraone
(di Felice Celato)
Un amico, che da più tempo di me (e con maggior “grazia” ed audience di me) si sforza di mantenere vivo un colloquio fra umani in questo deserto della ragione che sta diventando il nostro paese, ha mandato agli amici una riflessione che considero molto saggia (e perciò la trascrivo – e la sottoscrivo – integralmente) : “Depende, de qué depende, de según como se mire todo depende”, ripeteva un successo dei Jarabe de Palo: gli eventi non hanno mai una sola dimensione, non si esauriscono mai in una sola narrazione; la loro interpretazione e la loro drammaticità dipendono dal nostro punto di osservazione e da quanto il loro esito tocca da vicino la nostra vita. Più numerosi e più diversi tra loro sono i punti di osservazione in cui riusciamo a immedesimarci, maggiore sarà la probabilità di avere un quadro realistico e di riuscire a farci una opinione più oggettiva e completa. E allora (forse) riusciremo anche a capire per quale soluzione tifare.
Non per dargli torto (mi piacciono immensamente le diatribe fra persone dotate di testa non solo per spartire le orecchie, ma non fino al punto da negare gli enunciati più veri per il gusto di un’amichevole polemica!), però ci ho riflettuto sopra a lungo ed eccovi qua il “frutto” (poco succoso) di questa riflessione.
Partirò da una frase che mi ha molto colpito, tratta dal libro che ho segnalato qualche giorno fa (Ponzio Pilato, di A. Schiavone, Einaudi, 2016): Per l’occhio di Dio il tempo non è un fiume che scorre imprevedibile [come è per noi umani, NdR], ma un immobile blocco di ghiaccio, interamente percettibile con un unico sguardo.
Bene, questa è “la prospettiva” di Dio che tutto sa; ahimè! tanto distante da quella degli uomini che poco o nulla sanno (anche quando credono di sapere) e che, pure, come dice il mio amico, devono sforzarsi di “comprendere” la dimensione degli eventi nella varietà dei punti di vista (troppo giusto!).
E che, però, alla fine, nel loro tempo devono agire (magari si trattasse solo di tifare!).
Ma “comprendere” non è “agire”; purtroppo, del tempo, non siamo solo spettatori ma anche attori, ancorché ogni azione ragionevole presupponga uno sforzo quanto più intenso possibile per “comprendere” ( e anche per comprendere il punto di vista degli altri, beninteso) prima di “agire”. L’azione nel tempo (un fiume che scorre imprevedibile) purtroppo è soggetta alla naturale imprevedibilità dei suoi effetti, non solo statica (cioè, per così dire, a bocce ferme) , ma anche dinamica (cioè in funzione di come gli altri faranno rotolare le loro bocce, in un bocciodromo, peraltro, senza sponde, dove ogni boccia tende a seguire l’impulso dinamico di chi l’ha lanciata). Il tempo non è, per noi, un immobile blocco di ghiaccio, interamente percettibile con un unico sguardo; è invece, mi si passi l’abuso della banalizzazione, il bocciodromo senza sponde dove ognuno fa il suo gioco, in parte prevedibile (cioè “conoscibile” o stimabile ex ante) in parte imprevedibile. Ogni decisione dell’uomo, come ben sa chiunque abbia dovuto prendere delle decisioni, viene assunta – per quanto se ne siano studiati accuratamente natura ed effetti – in condizione di incertezza, non solo del futuro ma anche della qualità della comprensione del presente (e del passato che su tale presente stende comunque la sua ombra). E, per l’uomo, il metro di questa decisione, per quanto amaro possa apparire il confessarlo, è ciò che è meglio fare per lui, al quale – con tutti i suoi limiti – la sua comunità è affidata; forse ben poteva Mosè immedesimarsi (segùn como se mire) nelle ragioni del Faraone (“Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?”Es.5,5), ma ciononostante decise per l’Esodo, perché alla sua azione la comunità degli Israeliti era stata affidata.
Certo l’uomo può ben decidere, nell’incertezza, di non agire; ma anche questa è una scelta, in qualche modo la decisione di non decidere è essa stessa una decisione, con i suoi intrinseci  rischi, spesso non diversi da quelli dell’azione (ragionevole).
Concludo: todo depende de segùn come se mire, ma l’azione ragionevole, dopo un’intensa attività di comprensione, esige una sintesi attiva, dove, magari, qualche punto di vista risulti sacrificato; e senza che un punto di vista (una narrazione, come dice il mio amico, o come direbbe Vendola) venga elevato a puntello paralizzante.
Sennò, avrà anche compreso bene, l’agricoltore che non sa quale cereale seminare, studiando e ristudiando, i vantaggi del grano rispetto all’orzo o della segale rispetto al sorgo o del riso rispetto al mais; ma se non semina prima che cada la neve, in estate il suo campo sarà sterile.
Roma 15 febbraio 2016




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