venerdì 19 febbraio 2016

Letture ariose

Esercizi di iconoclastia
(di Felice Celato)
Osservando me stesso – come, forse, ognuno dovrebbe fare ogni tanto, per capire come cambiamo, in meglio o in peggio, col passare del tempo (e, per quanto mi riguarda, non è un esercizio confortante) – constato che, con l’età, fra l’altro mi si è accentuata una mai del tutto latente iconoclastia. Niente a che vedere con quelli che chiamiamo i “simboli iconici” del nostro tempo (chessò i tablets o gli smartphones o anche qualche cantante pop) né coi “santini” o le immaginette sacre, cui, pure, noi cattolici spesse volte ci affezioniamo con devozione che talora sfiora la superstizione; per iconoclastia intendo, nel mio caso, una irriverente tendenza a giudicare con fastidio e, ahimè!, spesso, anche con disprezzo (con la vecchiaia i difetti del carattere si accentuano!), le opinioni convenzionali, le formule del pensiero corrente accettate e seguite dalla maggioranza; che si ipostatizzano in “icone culturali” adorate per default, perché ormai ci siamo abituati ad esse e considereremmo una bestemmia, appunto, non adorarle acriticamente o anche il solo metterle in discussione; e che si “condensano”, con automatismo pavloviano, in slogan acritici dei quali sentiamo far uso anche quotidianamente, prevalentemente, per la verità, nella materia economica dove – questa può esser una spiegazione del loro successo – sono più densi e resistenti, almeno in Italia, i pregiudizi ideologici e, spesso, l’ autentica ignoranza. Di esempi se ne possono fare a iosa (e talora qui di alcuni di essi abbiamo pure parlato): il capitalismo sfrenato, la finanziarizzazione dell’economia, il profitto per il profitto, la speculazione predatoria, e così via, di banalità in banalità.
Sarà per questa turbolenta iconoclastia senile con cui mi trovo a convivere, ma mi sono lasciato veramente catturare da un bellissimo libro di Alberto Mingardi (L’intelligenza del denaro – Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto, Marsilio, 2013, disponibile anche in ebook), dal titolo provocatorio e, secondo me, forse anche infelice, ma dai contenuti veramente “rinfrescanti”.
Non è il caso di ripercorrere qui, nemmeno in estrema sintesi,  l’analisi ampia che Mingardi svolge con acume e chiarezza (e anche con vastità di riferimenti culturali) sulle distorsioni che  “l’ideologia” statalista (culturalmente dominante in Italia) ha via via apportato nella percezione dei funzionamenti del mercato (e del denaro che  rappresenta la lingua in cui si esprimono i prezzi: esso consente anche al più superficiale dei consumatori di valutare velocemente la convenienza di un acquisto). Per dare un’idea dell’aria fresca che – in mezzo alla cappa ideologica che ci asfissia – si respira invece nelle 300 e passa pagine del libro, dal blocco delle note che ho via via preso durante la lettura (potenza della lettura in  ebook!) estraggo alcune citazioni: ci si rivolge continuamente ai «mercati» come fossero soggetti in carne e ossa, dotati di volontà propria, che di tanto in tanto «sono nervosi», «ci puniscono», «premiano le scelte del governo», «scommettono su Monti», «aspettano l’esito del nuovo vertice di Bruxelles», «reagiscono bene». In realtà, il mercato non è nervoso né calmo, non punisce né premia, non frequenta le bische, non aspetta alcunché, non reagisce neppure al peggiore degli insulti. Il mercato non è un essere vivente dotato di volontà propria. Fra i comunicatori, gente che per mestiere deve farsi capire, c’è sempre la tentazione di reificare concetti astratti. Con il mercato si fa di peggio: lo si antropomorfizza, facendone una sorta di eroe negativo perennemente impegnato a smontare i disegni benevoli dei grandi del pianeta. In realtà, invece, il mercato siamo noi…. il mercato è…..una torta impastata da milioni di inconsapevoli pasticceri……una metafora: si fa riferimento a uno spazio, con cui tutti o quasi abbiamo consuetudine, per riferirsi a un complesso di relazioni fra persone, ciascuna delle quali ha fini propri….che cooperano senza che nessuno impartisca gli ordini,…dove scambiando si impara…perché il mercato non ha una «sua» idea di che cosa sia l’interesse della società nel suo complesso. È una vasta rete di relazioni sociali, nelle quali ciascuna delle parti coinvolte mira a uscire dallo scambio meglio di quanto vi fosse entrata.
Ah! si respira! Senza sentire alcuna pretesa di verità!
Sento già qualche tenace statalista alzare il ciglio con l’idea che, in fondo, anche questa del mercato sia un’icona. No, non è un’icona perché il mercato non è una cosa, una persona, un’entità: il mercato è un complesso di relazioni fra persone, un luogo astratto dove queste relazioni si intessono; e dunque, forse, il libro di Mingardi ne è una mappa.
Conclusione: lettura obbligatoria per tutti (fra l’altro il libro si legge benissimo)  specialmente per i più riottosi, che vi troveranno, appunto, non verità ma salutari spunti di riflessione!
Roma 19 febbraio 2016


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