Sarà
che forse…
(di Felice Celato)
Sarà
che forse, come canta Adriana Lecouvreur,
"l'anima ho stanca";
sarà che, appunto, mi viene sempre più
spesso da invocare il Signore con le parole di una splendida preghiera di
Sant'Ambrogio (*), "vieni a cercare
la tua pecora stanca"; sarà che ho perso ogni fiducia nella capacità
dell'attuale, sfibrata società italiana di esprimere valori forti e condivisi e
tensioni effettive; sarà che non so immaginarmi politici italiani ( come, per
esempio,....beh, lasciamo perdere i nomi) passare, come tanti Innominati, notti
inquiete per bilanciare - in coscienza -
riconoscimenti di diritti attuali e precauzioni sul bene comune futuro; sarà
che da tempo hanno finito di interessarmi le opinioni di tanti dibattenti
cialtroni; sarà per tutto questo o solo
per qualcosa di questo, ma l'attuale dibattito sulle unioni civili e sulle
collegate adozioni laterali non mi scalda né - lo confesso - mi suscita
interesse alcuno. Anche se, ovviamente, al riguardo ho anch'io le mie idee che,
peraltro, ratione materiae, secondo
me, mal si prestano ad essere usate come armi di lotta (o di resistenza) politica.
C'è
però una cosa che mi fa amaramente sorridere, in questo turbinio di parole che
aleggiano impensate: l'uso della libertà
di coscienza come chiave di deresponsabilizzazione politica. Sarebbe come
dire che la politica per natura imponga una coscienza non libera e che, anzi,
solo il suo temporaneo affrancamento da – evidentemente in-coscienti – vincoli
possa consentire (eccezionalmente) il dispiegamento di una
"coscienza" nel voto.
Lo so
bene cosa dicono al riguardo i nostri (noiosi) politicanti: la politica non
vincola la coscienza nei dibattiti interni ai partiti (dico io: if any, any more) ma solo
nell'espressione del voto in sede parlamentare, una volta che
"l'orientamento" del partito sia maturato. Che è come dire: se serve
la coscienza, non bastando la scienza delle cose o il semplice buonsenso (di
cui peraltro spesso difettiamo), la coscienza della maggioranza del partito
prevale sulla coscienza dell'individuo. E dunque sarebbe bene votare, in
parlamento, "per partito"; inutile mandare tanti "rappresentanti
del popolo", basterebbe attribuire a ciascun partito un voto più o meno
pesante in funzione dei voti ricevuti, ma comunque unico (perché unici hanno
comunque da essere il pensiero e la coscienza di ciascun partito).
Beh!
Non c'è male! Questa soluzione democratica della coscienza, mi dà molto da
pensare...
Del
resto, se guardiamo indietro alla storia della nostra società, ci rendiamo
facilmente conto di che cosa abbia prodotto questo vincolo della politica
all'in-coscienza (o alla coscienza del partito): l'abbiamo detto più volte (anche
con parole non nostre) la storia del nostro debito pubblico testimonia con
forza del fascino politico ( e ahimè sociale)
dell'in-coscienza.
Ma,
francamente, ora vedere "brandita" là libertà di coscienza come arma
per scombinare la tela di in-coscienti trame tattiche mi pare un paradosso
inaccettabile, che "mi scalda" assai più del sottostante dibattito in
sé.
Roma,
11 febbraio 2016 ( 87° anniversario dei Patti Lateranensi)
(*)
Visto che siamo in quaresima (liturgica! Dal punto di vista "civile"
il carnevale è lungi dall'essere finito!) vale la pena di mettere un link per chi voglia leggerla per intero
questa sublime preghiera dell'antico Vescovo di Milano (che però, credo,
l'aveva scritta per un Avvento).
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