Diario triste
(di
Felice Celato)
“Tu non potrai vedere il mio volto, perché
nessun uomo può vedermi e restare vivo…vedrai le mie spalle ma il mio volto non
si può vedere”. Così dice il Signore a Mosè nel deserto del Sinai (Es. 33,
20-23).
Eppure
gli uomini hanno continuato ad invocare su di loro stessi il volto di Dio: “Non nascondermi il tuo volto nel giorno
della mia sventura” (Sal.102); “Dio
abbia pietà di noi e ci benedica, faccia risplendere il suo volto su di noi”
(Sal. 67); perché “il volto è l’immagine
dell’anima” come diceva Cicerone e tutti vorremmo conoscere a fondo l’anima
di chi ci sta davanti (e anche di noi stessi, quando abbiamo modo di guardarci
allo specchio).
Ma
l’anima di ciascuno è conoscibile solo da Dio, nemmeno noi stessi la conosciamo,
la nostra, soprattutto nel momento del dolore e della prova, nel momento del
deserto.
Ci
ho pensato a lungo in questi giorni in cui ho avuto il doloroso modo di sfiorare il mistero di ciò che c’è dietro i nostri volti, spesso atteggiati a
negare a noi stessi ed agli altri i viluppi dolenti dell’anima, come fossimo
attori di un testo su di noi, ma scritto solo per gli altri.
Già,
strana vita, quella dell’attore, che, come ogni uomo, non conosce a fondo il
vero volto di se stesso ma che presta la sua arte per mettere in scena quello degli
altri; magari illuso che mostrare il volto dei suoi personaggi possa aiutare
qualcuno (e prima di tutti se stesso) nella
dolorosa ricerca del proprio vero volto. E quindi della propria anima, quando
vaga nei deserti della vita.
“Da qualche parte mi attende il mio vero
volto”, scrive uno scrittore francese nel raccontare l’avventura della
propria conversione, appunto nel deserto (E.E. Schmitt: La notte di fuoco, e/o ed.); infatti…..da qualche parte, in terra o in cielo; in mezzo agli uomini o in
grembo alla misericordia di Dio.
Roma,
27 febbraio 2016
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