La “religione” del
calcio
(di Felice Celato)
Tutti
quelli che mi conoscono personalmente sanno che sono molto appassionato di
calcio; per la verità seguo, per televisione, quasi tutti gli sport: dal calcio
al sumo, dal golf allo snooker, dal
motociclismo ai concorsi ippici; e ad un pessimo talk show – cioè a tutti i talk
show – preferisco sempre anche il sumo, quando c’è: lo trovo più autentico…..e
le energie di quagli omoni mi sembrano meglio impiegate per spingersi fuori del
quadrato di quanto non lo siano quelle di certi gaglioffi della politica che si
parlano contro come se facessero a capocciate.
Per
il calcio però ho una vera passione, non ostanti le delusioni che mi arreca da
qualche tempo il “mio” Milan, anche se sono sempre grato al “nostro” Presidente
che, nei tempi lontani, tante soddisfazioni ci ha regalato (come presidente del
Milan, intendo!).
In
questa veste di appassionato, vedo molte partite che sostituiscono più che bene
telegiornali ed altre fatuità più o meno faziose; e spesso mi domando che tipo
di religiosità hanno i giocatori. Come mai, questo curioso interesse? vi
domanderete. Bene, fateci caso: molti giocatori prima di entrare in campo si
fanno il Segno della Croce, forse (mi auguro) per pregare Iddio che non abbiano
a farsi male. Altri, però, lo fanno dopo avere fugacemente toccato il terreno
con la mano destra, come fosse un rito “apotropaico” (così si dice oggi di ogni
segno scaramantico), come quando tocchiamo…ferro difronte a qualche ventilato
pericolo; e questo toglie – secondo me – molto buon significato al gesto.
Altri, invece, ringraziano vistosamente Iddio (alzando gli occhi ed entrambi gli indici al
cielo) quando segnano un gol: forse pensano che Dio sia un accanito tifoso; ma
allora non si spiegherebbe perché, anche quando qualche avversario segna un gol, talora ringrazia Dio con lo stesso gesto. Forse, penso, tutto sommato a Dio “fa comodo” un
bel pareggio, così nessuno si lamenta.
Di
alcuni calciatori si sa che hanno un’intensa vita religiosa (per esempio, del
“nostro” Kakà si sapeva che era un fervente cristiano); di altri si suppone
solo: basti pensare che Hernanes – resosi famoso per le sue citazioni bibliche
– è stato soprannominato “il profeta”; di un altro – in questo caso, un grande
allenatore e grande ex-calciatore (del Milan,
guarda caso), Trapattoni – rimase famoso il ricorso all’acqua santa
per…”esorcizzare” un momento drammatico di una partita.
Come
che sia, i riti religiosi – anche quelli di qualche calciatore mussulmano –
sono sempre, per me, un segno simpatico, anche se talora di incerta
interpretazione: mi sembra bello che questi super-pagati divi del calcio,
spesso protagonisti anche nei giornali di gossip,
questi ragazzoni pieni di energia e vitalità, sentano, magari confusamente, che,
sopra la loro vita piena di glamour,
c’è comunque un Qualcuno a cui bisogna rendere conto e magari sperano che anche
i gol possano essere portati – come le buone azioni – a “scomputo dei peccati”.
Roma,
22 novembre 2015 (il Milan ha perso con la Juve, ieri, però)
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