mercoledì 25 novembre 2015

"Il buon Europeo"


La sindrome di Stoccolma
(di Felice Celato)
Viene chiamato così (da un famoso episodio di cronaca verificatosi appunto a Stoccolma nel 1973) quell’insieme di attivazioni emotive e comportamentali che tende a creare un legame, appunto emotivo, della vittima nei confronti del suo aggressore, determinandone una identificazione  psicologica  con il punto di vista di questo.
Torno a citare una considerazione di Benedetto XVI (della quale non conosco il contesto, perché la riprendo dall’articolo di Bret Stephens qui citato nel post Radici, del 21 ottobre scorso): E’ lodevole che l’Occidente stia provando ad essere più aperto, più comprensivo dei valori degli altri, ma ha perso la sua capacità di autostima. Tutto quanto vede della sua storia è meschino e distruttivo, non è più in grado di percepire quanto c’è di grande e di puro. Ciò di cui l’Europa ha bisogno, se vuole veramente sopravvivere, è una nuova auto-accettazione, ancorché un’auto-accettazione critica e umile.
In effetti mi pare (per ora confusamente) che nelle tante analisi sulla genesi sociologica dei fatti di Parigi traspaia talora, soprattutto fra gli intellettuali di sinistra, un atteggiamento forse non nuovo nel nostro mondo lato sensu occidentale (persino la Chiesa, ahimè, qualche volta mi pare soggetta ad esso, anche in campi non direttamente connessi agli eventi in discorso), un atteggiamento di messa in discussione dei propri valori, o, meglio, di ansiosa ricerca di un adattamento vagamente compromissorio, di un accucciamento, di una sottomissione, direi rubando l’espressione ad Houellebecq nel libro (Sottomissione, appunto) che abbiamo qui menzionato qualche mese fa. In fondo, dice l’intellettuale tedesco Alexander Kissler in un’intervista rilasciata a il Foglio quasi facendo da contrappunto a Benedetto XVI, “ogni volta che accade qualche cosa di brutto in Europa, il ‘buon europeo’ dice ‘deve essere stata colpa nostra’”. Se poi – questo lo dico io – il ‘buon europeo’ è anche un po’ fesso aggiunge “e degli Stati Uniti” o “del capitalismo sfrenato” o “della ricerca del profitto”.
Non a caso, forse, anche quando si tratta di valori fondati sulle storiche radici della nostra cultura, rapidamente ci siamo accomodati a rinunciare persino ai loro simboli più “innocui” (dall’esposizione del Crocefisso *, al presepe nelle scuole e persino – la notizia è di qualche giorno fa – nella scelta delle mostre d’arte da far visitare agli studenti, dove si è valutato che un quadro di tema sacro poteva offendere la sensibilità dei non cristiani); fino al punto da negarci l’affermazione di quelli che consideriamo i nostri valori (quelli nati e cresciuti nell’antica Grecia, a Roma e a Gerusalemme, [che] riflettono tre domande fondamentali: cosa è bene, cosa è giusto e cosa è vero, come osserva ancora Kissler); quei valori che riteniamo (per noi ma nel rispetto dell’altrui sensibilità, il che costituisce un altro valore cui siamo affezionati), le fondamenta della nostra civiltà, così come si è costruita anche attraverso tante tragedie. Così, per esempio, (è sempre Kissler che parla) “si condanna ogni forma di antisemitismo ma si fa finta di niente riguardo i mussulmani che auspicano pubblicamente la morte di Israele”; anzi, aggiungo io, si va ansiosamente alla caccia di ipocrite distinzioni fra antisemitismo e antisionismo che valgano ad “accomodare le cose”.
Così, come in preda ad un’invincibile sindrome di Stoccolma, ci prepariamo forse, come il protagonista del libro di Houellebecq, alla nostra pigra conversione, pensando che in fondo “sarebbe stata l’opportunità di una seconda vita, senza molto nesso con la precedente”?
Non credo che – fra le tante critiche che queste nostre considerazioni possono meritare – ci possa essere anche quella di uno smanioso bellicismo; e comunque, per me, non è questo che sento. Solo vi cerco – anche qui con ansia – le ragioni, per dirla ancora con Benedetto XVI, di una vera sopravvivenza di quanto di grande e di puro c’è nella nostra storia.
Roma 25 novembre 2015

(*) Il Crocefisso è un “simbolo innocuo” solo per quelli che non ne conoscono il significato sconvolgente. Ovviamente.

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