La sindrome di
Stoccolma
(di Felice Celato)
Viene
chiamato così (da un famoso episodio di cronaca verificatosi appunto a
Stoccolma nel 1973) quell’insieme di attivazioni emotive e comportamentali che
tende a creare un legame, appunto emotivo, della vittima nei confronti del suo
aggressore, determinandone una identificazione
psicologica con il punto di vista
di questo.
Torno
a citare una considerazione di Benedetto XVI (della quale non conosco il
contesto, perché la riprendo dall’articolo di Bret Stephens qui citato nel post Radici, del 21 ottobre scorso): E’ lodevole che l’Occidente stia provando
ad essere più aperto, più comprensivo dei valori degli altri, ma ha perso la
sua capacità di autostima. Tutto quanto vede della sua storia è meschino e
distruttivo, non è più in grado di percepire quanto c’è di grande e di puro.
Ciò di cui l’Europa ha bisogno, se vuole veramente sopravvivere, è una nuova
auto-accettazione, ancorché un’auto-accettazione critica e umile.
In
effetti mi pare (per ora confusamente) che nelle tante analisi sulla genesi
sociologica dei fatti di Parigi traspaia talora, soprattutto fra gli
intellettuali di sinistra, un atteggiamento forse non nuovo nel nostro mondo lato sensu occidentale (persino la
Chiesa, ahimè, qualche volta mi pare soggetta ad esso, anche in campi non
direttamente connessi agli eventi in discorso), un atteggiamento di messa in
discussione dei propri valori, o, meglio, di ansiosa ricerca di un adattamento vagamente
compromissorio, di un accucciamento, di una sottomissione,
direi rubando l’espressione ad Houellebecq nel libro (Sottomissione, appunto) che abbiamo qui menzionato qualche mese fa.
In fondo, dice l’intellettuale tedesco Alexander Kissler in un’intervista
rilasciata a il Foglio quasi facendo
da contrappunto a Benedetto XVI, “ogni
volta che accade qualche cosa di brutto in Europa, il ‘buon europeo’ dice ‘deve
essere stata colpa nostra’”. Se poi – questo lo dico io – il ‘buon europeo’
è anche un po’ fesso aggiunge “e degli Stati Uniti” o “del capitalismo
sfrenato” o “della ricerca del profitto”.
Non
a caso, forse, anche quando si tratta di valori fondati sulle storiche radici della
nostra cultura, rapidamente ci siamo accomodati a rinunciare persino ai loro simboli
più “innocui” (dall’esposizione del Crocefisso *, al presepe nelle scuole e
persino – la notizia è di qualche giorno fa – nella scelta delle mostre d’arte
da far visitare agli studenti, dove si è valutato che un quadro di tema sacro
poteva offendere la sensibilità dei non cristiani); fino al punto da negarci
l’affermazione di quelli che consideriamo i nostri valori (quelli nati e cresciuti nell’antica Grecia, a Roma e a Gerusalemme, [che] riflettono tre domande fondamentali: cosa è
bene, cosa è giusto e cosa è vero, come osserva ancora Kissler); quei valori
che riteniamo (per noi ma nel rispetto dell’altrui sensibilità, il che
costituisce un altro valore cui siamo affezionati), le fondamenta della nostra
civiltà, così come si è costruita anche attraverso tante tragedie. Così, per
esempio, (è sempre Kissler che parla) “si
condanna ogni forma di antisemitismo ma si fa finta di niente riguardo i
mussulmani che auspicano pubblicamente la morte di Israele”; anzi, aggiungo
io, si va ansiosamente alla caccia di ipocrite distinzioni fra antisemitismo e
antisionismo che valgano ad “accomodare le cose”.
Così,
come in preda ad un’invincibile sindrome di Stoccolma, ci prepariamo forse, come
il protagonista del libro di Houellebecq, alla nostra pigra conversione,
pensando che in fondo “sarebbe stata
l’opportunità di una seconda vita, senza molto nesso con la precedente”?
Non
credo che – fra le tante critiche che queste nostre considerazioni possono
meritare – ci possa essere anche quella di uno smanioso bellicismo; e comunque,
per me, non è questo che sento. Solo vi cerco – anche qui con ansia – le
ragioni, per dirla ancora con Benedetto XVI, di una vera sopravvivenza di
quanto di grande e di puro c’è nella nostra storia.
Roma
25 novembre 2015
(*)
Il Crocefisso è un “simbolo innocuo” solo per quelli che non ne conoscono il
significato sconvolgente. Ovviamente.
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