Σύν
λόγω
In
questi giorni di sangue, terrore, lacrime e tante parole, è molto difficile
parlare d’altro. Eppure non saprei che dire dei tanti, spezzettati scampoli di
pensieri che abbiamo visto rispolverati per commentare, sui giornali o in TV;
molti hanno attinto alla loro riserva di ideologia per propinare analisi e
ricette che, spesso, dormivano il sonno inquieto della banalità, depositata
nelle nostre parole ma sempre pronta a riemergere per assurgere a “dignità” di
pensiero: dall’immigrazione, ai profughi, alle frontiere, al commercio delle
armi, fino all’enunciazione di ricette semplicistiche o di analogie
improbabili; tutto – dalle minuscole verità magnificate come chiavi di comprensione
universale alle autentiche scemenze condite di pregiudizio – tutto concorre,
nei casi migliori, ad illuminare la faccia in vista della luna, che da sola,
quando non ci sono nubi, è a tutti chiara, senza bisogno che accendiamo una
incerta candela.
Ma
l’altra parte, la parte che non si vede (lo
scemo della luna, la chiama Dante), resta in ombra, non perché le nostre
candele non ci arrivano, ma perché è il sole che non la illumina. A coloro che
magari cercano di andare alla radice delle colpe, consiglio di rileggere il
discorso di Regensburg, di Benedetto XVI:”non
agire secondo ragione [appunto: Σύν λόγω] è
contrario alla natura di Dio” [cfr. link, sotto].
Ora, nonostante tutto, parliamo d’altro:
L’età della disintermediazione
(di
Felice Celato)
“Pronto? Buongiorno, signora, sono Mario, un
compagno di scuola di sua figlia Luisa; potrebbe per favore passarmela?” “Luisa
è in palestra; ti faccio richiamare appena torna”. “Pronto? Buonasera signora,
sono Luisa, una compagna di scuola di suo figlio Mario; Mario mi aveva cercato,
ma io ero in palestra. Ora, per favore, può passarmelo?”
A quanti
di noi hanno passato i cinquant’anni, questo colloquio telefonico non risulterà
certo strano, ancorché ormai desueto (…non solo per il tratto educato dei due
interlocutori); a chi ne ha meno di trenta, invece, sembrerà stranissimo. In
realtà esso contiene un doppio livello di intermediazione (le due mamme) che
oggi ci pare impensabile: per parlarsi, prima dell’età dei cellulari (in Italia
61 milioni di abitanti dispongono di 97 milioni di utenze cellulari), Mario e Luisa avevano bisogno di “farsi
intermediare” dalle rispettive mamme.
Ecco,
questo mi pare un esempio plastico di un fenomeno (la disintermediazione) che
ci coinvolge direttamente ben più a fondo di quanto non sia avvenuto solo per i
cellulari. Un altro esempio: quanti di noi ormai vanno più in banca a disporre
un bonifico, tramite l’impiegato addetto allo sportello? Nessuno! Oggi disponiamo
direttamente, da casa, con un banale tool
di home banking che “taglia fuori”
l’impiegato e ci pone direttamente in contatto con la macchina della banca. Gli
esempi sono talmente tanti (dagli acquisto on-line,
alla stipula di polizze assicurative in rete, alla lettura dei quotidiani sul tablet, etc.) che è inutile farli:
negozianti, agenti e giornalai sono stati privati del loro ruolo di
intermediari fra l’acquirente e il prodotto (o servizio). Viviamo infatti nell’età della disintermediazione con tutti
gli enormi vantaggi pratici e gli insidiosi svantaggi non meno concreti che
questi nuovi modi di vivere comportano; si pensi solo alle conseguenze
occupazionali di ogni rapporto diretto – disintermediato – fra consumatori e produttori di beni e servizi,
e all’implicito trasferimento di ricchezza che (spesso) ne deriva a favore del
produttore che non deve più sostenere il costo dell’intermediazione, cioè del
contatto diretto con il consumatore.
L’età
della disintermediazione non è però confinata nel commercio, appunto di beni e
servizi; anche nell’informazione siamo disintermediati dal giornalismo diffuso e dai social
media sui quali le notizie corrono spesso più veloci (e più emozionate e
più confuse) che sui giornali; e lo siamo persino nella formazione delle
cosiddette volontà democratiche che,
ormai, assai spesso si “formano” (o
si “sformano”) in rete, secondo un
malinteso concetto di democrazia diretta istintiva, immediata e spesso
irriflessiva, quasi sempre non adeguatamente istruita.
Bene:
sono convinto che, nell’assecondare più o meno coscientemente questa evoluzione
alla quale ci siamo abituati ed accomodati, ben pochi di noi si sono resi
pienamente conto della trasformazione che questi mutamenti impongono a carico
del detentore del potere di scelta, sia essa di natura commerciale (compro
questo piuttosto che quello) o di natura più vasta, magari volitiva (voglio
questo piuttosto che quest’altro, non solo per me ma per il paese).
L’età
della disintermediazione postula un cittadino (o un consumatore) più
intelligente (in senso proprio, cioè capace di comprendere e di volere
coscientemente, non solo più informato). E più istruito, e responsabile. Lo siamo? O, invece di
disintermediarci, semplicemente ci disgreghiamo?
Roma,
22 novembre 2015 (festa di Cristo Re, ultima domenica dell’anno liturgico)
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