domenica 22 novembre 2015

Parliamo d'altro

Σύν λόγω
In questi giorni di sangue, terrore, lacrime e tante parole, è molto difficile parlare d’altro. Eppure non saprei che dire dei tanti, spezzettati scampoli di pensieri che abbiamo visto rispolverati per commentare, sui giornali o in TV; molti hanno attinto alla loro riserva di ideologia per propinare analisi e ricette che, spesso, dormivano il sonno inquieto della banalità, depositata nelle nostre parole ma sempre pronta a riemergere per assurgere a “dignità” di pensiero: dall’immigrazione, ai profughi, alle frontiere, al commercio delle armi, fino all’enunciazione di ricette semplicistiche o di analogie improbabili; tutto – dalle minuscole verità magnificate come chiavi di comprensione universale alle autentiche scemenze condite di pregiudizio – tutto concorre, nei casi migliori, ad illuminare la faccia in vista della luna, che da sola, quando non ci sono nubi, è a tutti chiara, senza bisogno che accendiamo una incerta candela.
Ma l’altra parte, la parte che non si vede (lo scemo della luna, la chiama Dante), resta in ombra, non perché le nostre candele non ci arrivano, ma perché è il sole che non la illumina. A coloro che magari cercano di andare alla radice delle colpe, consiglio di rileggere il discorso di Regensburg, di Benedetto XVI:”non agire secondo ragione [appunto: Σύν λόγω] è contrario alla natura di Dio” [cfr. link, sotto].
Ora, nonostante tutto, parliamo d’altro:

L’età della disintermediazione
(di Felice Celato)
“Pronto? Buongiorno, signora, sono Mario, un compagno di scuola di sua figlia Luisa; potrebbe per favore passarmela?” “Luisa è in palestra; ti faccio richiamare appena torna”. “Pronto? Buonasera signora, sono Luisa, una compagna di scuola di suo figlio Mario; Mario mi aveva cercato, ma io ero in palestra. Ora, per favore, può passarmelo?”
A quanti di noi hanno passato i cinquant’anni, questo colloquio telefonico non risulterà certo strano, ancorché ormai desueto (…non solo per il tratto educato dei due interlocutori); a chi ne ha meno di trenta, invece, sembrerà stranissimo. In realtà esso contiene un doppio livello di intermediazione (le due mamme) che oggi ci pare impensabile: per parlarsi, prima dell’età dei cellulari (in Italia 61 milioni di abitanti dispongono di 97 milioni di utenze cellulari),  Mario e Luisa avevano bisogno di “farsi intermediare” dalle rispettive mamme.
Ecco, questo mi pare un esempio plastico di un fenomeno (la disintermediazione) che ci coinvolge direttamente ben più a fondo di quanto non sia avvenuto solo per i cellulari. Un altro esempio: quanti di noi ormai vanno più in banca a disporre un bonifico, tramite l’impiegato addetto allo sportello? Nessuno! Oggi disponiamo direttamente, da casa, con un banale tool di home banking che “taglia fuori” l’impiegato e ci pone direttamente in contatto con la macchina della banca. Gli esempi sono talmente tanti (dagli acquisto on-line, alla stipula di polizze assicurative in rete, alla lettura dei quotidiani sul tablet, etc.) che è inutile farli: negozianti, agenti e giornalai sono stati privati del loro ruolo di intermediari fra l’acquirente e il prodotto (o servizio). Viviamo infatti nell’età della disintermediazione con tutti gli enormi vantaggi pratici e gli insidiosi svantaggi non meno concreti che questi nuovi modi di vivere comportano; si pensi solo alle conseguenze occupazionali di ogni rapporto diretto – disintermediato –  fra consumatori e produttori di beni e servizi, e all’implicito trasferimento di ricchezza che (spesso) ne deriva a favore del produttore che non deve più sostenere il costo dell’intermediazione, cioè del contatto diretto con il consumatore.
L’età della disintermediazione non è però confinata nel commercio, appunto di beni e servizi; anche nell’informazione siamo disintermediati dal giornalismo diffuso e dai social media sui quali le notizie corrono spesso più veloci (e più emozionate e più confuse) che sui giornali; e lo siamo persino nella formazione delle cosiddette volontà democratiche  che, ormai, assai spesso si “formano” (o si “sformano”) in rete, secondo un malinteso concetto di democrazia diretta istintiva, immediata e spesso irriflessiva, quasi sempre non adeguatamente istruita.
Bene: sono convinto che, nell’assecondare più o meno coscientemente questa evoluzione alla quale ci siamo abituati ed accomodati, ben pochi di noi si sono resi pienamente conto della trasformazione che questi mutamenti impongono a carico del detentore del potere di scelta, sia essa di natura commerciale (compro questo piuttosto che quello) o di natura più vasta, magari volitiva (voglio questo piuttosto che quest’altro, non solo per me ma per il paese).
L’età della disintermediazione postula un cittadino (o un consumatore) più intelligente (in senso proprio, cioè capace di comprendere e di volere coscientemente, non solo più informato). E più istruito, e responsabile. Lo siamo? O, invece di disintermediarci, semplicemente ci disgreghiamo?

Roma, 22 novembre 2015 (festa di Cristo Re, ultima domenica dell’anno liturgico)

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