Un “ripasso” di economia.
(di
Felice Celato)
Nei
poco frequentati libri di macro-economia non occorre andare avanti nella
lettura delle pagine (cosa sicuramente faticosa per ogni nostro “buon”
politico); basta finire il primo o il secondo capitolo per capire cosa è il PIL
(Prodotto Interno Lordo; per intenderci,
la somma della ricchezza che produciamo che, per definizione, è uguale
alla somma di quanto spendiamo, perché ciò che spendiamo è, allo stesso tempo,
il reddito di chi paghiamo per i beni e i servizi che compriamo; sempre per
intenderci, il PIL è anche la quantità che consideriamo per misurare il livello del nostro
indebitamento che, in Italia, è pari al 135% di quanto produciamo, cioè abbiamo
un debito pari alla ricchezza che produciamo più o meno in un anno e 4 mesi).
Forse,
allora, sarà bene ricordarci come si misura il PIL, così capiamo meglio di che
stiamo parlando: si fa la somma della spesa delle famiglie per consumi (C), di
quella delle imprese per investimenti (in impianti e scorte) e delle famiglie
per abitazioni (I), di quella dello Stato (G) e di quanto esportiamo al netto
di quanto importiamo (NX). Sicché, fin dalle prime pagine di ogni manuale ad
uso degli studenti, si impara questa semplice eguaglianza:
PIL = C + I + G + NX
La
spesa dello Stato (G) è quella per il funzionamento della macchina (stipendi e
servizi acquistati dallo Stato) più quella per gli investimenti che fa lo
Stato.
Bene:
è chiaro, ora, perché è tanto difficile fare quei “tagli di spesa pubblica” che
tutti invocano rumorosamente quando sono all’opposizione e nessuno pratica veramente
quando è al governo?
Non
a caso in Italia ci si è affezionati ad una espressione inglese (la spending review, croce e delizia dei
tanti appositi commissari che abbiamo via via nominato) che non necessariamente
vuol dire taglio di spesa tout court
ma revisione (appunto: review) della
spesa, al fine di renderla più efficiente, più conveniente, più razionale,
talora meno dissennata. Invece, tagliare la spesa tout court, al di là del fatto che si tagliano così anche i redditi
di chi fornisce allo Stato lavoro, beni di consumo e servizi, significa
tagliare un fattore (meglio: un addendo ) del PIL. E la cosa non è certo facile
né politicamente indolore (checché ne creda la “pubblica opinione” che spesso
si scalda per l’enorme spesa dello Stato pur beneficiandone ampiamente).
Naturalmente
chi come me è favorevole ad un restringimento dello Stato può ben invocare un
taglio tout court ed un trasferimento
di molte attività dello stato al mercato, ovviamente compensato da un taglio di
imposte; ma anche chi non ha questo mio convincimento può ben aspirare ad una
revisione – nel senso sopra inteso – della spesa dello Stato, revisione
ovviamente ben venuta anche per me.
Fine
dell’ ovvio ma forse non inutile “ripasso” di macro-economia; per la verità,
leggendo i giornali, mi pare spesso che le idee di molti non siano chiare. Gli
esperti della materia mi perdoneranno le semplificazioni.
Roma
12 novembre 2015
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