giovedì 12 novembre 2015

Spending review

Un “ripasso” di economia.
(di Felice Celato)
Nei poco frequentati libri di macro-economia non occorre andare avanti nella lettura delle pagine (cosa sicuramente faticosa per ogni nostro “buon” politico); basta finire il primo o il secondo capitolo per capire cosa è il PIL (Prodotto Interno Lordo; per intenderci,  la somma della ricchezza che produciamo che, per definizione, è uguale alla somma di quanto spendiamo, perché ciò che spendiamo è, allo stesso tempo, il reddito di chi paghiamo per i beni e i servizi che compriamo; sempre per intenderci, il PIL è anche la quantità che consideriamo  per misurare il livello del nostro indebitamento che, in Italia, è pari al 135% di quanto produciamo, cioè abbiamo un debito pari alla ricchezza che produciamo più o meno in un anno e 4 mesi).
Forse, allora, sarà bene ricordarci come si misura il PIL, così capiamo meglio di che stiamo parlando: si fa la somma della spesa delle famiglie per consumi (C), di quella delle imprese per investimenti (in impianti e scorte) e delle famiglie per abitazioni (I), di quella dello Stato (G) e di quanto esportiamo al netto di quanto importiamo (NX). Sicché, fin dalle prime pagine di ogni manuale ad uso degli studenti, si impara questa semplice eguaglianza:
PIL = C + I + G + NX

La spesa dello Stato (G) è quella per il funzionamento della macchina (stipendi e servizi acquistati dallo Stato) più quella per gli investimenti che fa lo Stato.
Bene: è chiaro, ora, perché è tanto difficile fare quei “tagli di spesa pubblica” che tutti invocano rumorosamente quando sono all’opposizione e nessuno pratica veramente quando è al governo?
Non a caso in Italia ci si è affezionati ad una espressione inglese (la spending review, croce e delizia dei tanti appositi commissari che abbiamo via via nominato) che non necessariamente vuol dire taglio di spesa tout court ma revisione (appunto: review) della spesa, al fine di renderla più efficiente, più conveniente, più razionale, talora meno dissennata. Invece, tagliare la spesa tout court, al di là del fatto che si tagliano così anche i redditi di chi fornisce allo Stato lavoro, beni di consumo e servizi, significa tagliare un fattore (meglio: un addendo ) del PIL. E la cosa non è certo facile né politicamente indolore (checché ne creda la “pubblica opinione” che spesso si scalda per l’enorme spesa dello Stato pur beneficiandone ampiamente).
Naturalmente chi come me è favorevole ad un restringimento dello Stato può ben invocare un taglio tout court ed un trasferimento di molte attività dello stato al mercato, ovviamente compensato da un taglio di imposte; ma anche chi non ha questo mio convincimento può ben aspirare ad una revisione – nel senso sopra inteso – della spesa dello Stato, revisione ovviamente ben venuta anche per me.
Fine dell’ ovvio ma forse non inutile “ripasso” di macro-economia; per la verità, leggendo i giornali, mi pare spesso che le idee di molti non siano chiare. Gli esperti della materia mi perdoneranno le semplificazioni.

Roma 12 novembre 2015

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