Nous n’avons pas peur
(di Felice Celato)
Così
si legge in uno dei tanti messaggi che emozionati cittadini hanno lasciato, fra
fiori e lumini accumulati in qualche piazza dopo gli eventi Francesi di questi
giorni (c’era, oggi, anche a Roma, davanti all’ambasciata Francese di piazza Farnese);
e questo è il messaggio di molti politici che commentano con improvviso vigore
gli stessi fatti che uniscono in una tragica catena l’11 settembre 2001 con il 13
novembre 2015.
Stranamente
questo semplice messaggio (retoricamente più che comprensibile) mi ha fatto
tornare alla mente un racconto che lessi qualche tempo fa: un monaco si
imbatte, in un angolo del suo monastero, in un topolino che lo scruta senza
mostrare paura: “Deve essere ammalato;
non ha paura, è un brutto segno.” si disse il monaco e passò oltre. Due ore
dopo, passando nello stesso angolo del monastero, il monaco trovò il topolino
morto, con le zampette per aria.
Forse,
mi dico, se non abbiamo paura di quello che vediamo nel mondo, di quello che
abbiamo visto in questi ultimi 15 anni, forse è un brutto segno.
Certo
è anche vero – lo ricordava oggi nella consueta omelia domenicale il p. De
Bertolis nella chiesa del Gesù – che l’umanità ha conosciuto, nella sua storia,
tanti passaggi che hanno fatto pensare ai segni di quella che chiamiamo la
piccola apocalisse di San Marco, l’odierna lettura liturgica (Mc.,13,24-32): “in quei giorni…si sole si oscurerà, la luna
non darà più luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli
saranno sconvolte”; l'ha temuto, forse, tante volte quante sono le tante vicende terrificanti
che hanno segnato di lacrime e sangue il cammino dell’uomo. Ma è anche vero che
l’uomo ha sempre avuto paura, perfino nel giardino dell’Eden (Gn. 3,9) quando Dio domanda ad Adamo “Dove sei?”; è anche
vero che la paura ha costituito la compagna perenne delle nostre esistenze (perché è radicata nell'ignoto futuro), uno
dei momenti più significativi di verità nell'esistenza di ciascuno, la naturale espressione dello sgomento
per la nostra finitezza difronte alla grandezza del male; e ha anche costituito
la molla di tante azioni dell’uomo, grandi o scellerate, vili o coraggiose,
inutili o decisive, di fuga o di reazione; ma azioni, comunque.
Ecco
perché, come diceva il vecchio monaco, forse
è un brutto segno non avere paura; è segno di malattia, di abitudine (sottomissione?)
al male, di incomprensione del dolore, di resa difronte all’altrui potenza.
E
dunque, di fronte al male, al grande come al piccolo male, è bene avere paura (nous avons peur!), è bene subire il
brivido che suscita la violenza, sentire la scossa di ribellione che ne nasce. Non per
reagire senza ragione, ovvero senza il conforto della ragione, ma per agire
secondo ragione, come la ragione consiglia. Perché la ragione domina la paura,
non la elimina; anzi ne trae conforto nel suscitare l’azione e nel misurarla.
Roma,
15 novembre 2015
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