domenica 13 settembre 2015

Letture

Garry Kasparov
(di Felice Celato)
Tutti coloro che (come me) sono o sono stati amanti del gioco degli scacchi conoscono Garry (Kimovic) Kasparov, forse il più grande scacchista di tutti i tempi. Lasciati gli scacchi, Kasparov è diventato un attivista politico, fondatore del Fronte Civile Unito russo, fiero oppositore di Vladimir Putin e, più recentemente, presidente della statunitense Human Rights Foundation.
Bene: in questa veste, Kasparov è autore del libro Winter is coming: Why Vladimir Putin and the enemies of Free World must be stopped il cui contenuto è stato anticipato in un articolo dello stesso Kasparov sul Wall Street Journal di ieri (un giornale, va detto, da sempre assai poco favorevole ai democratici americani). Un articolo inquietante, per la verità, del quale è solo da sperare che sia radicalmente sbagliato (il titolo dell’articolo è: I risultati della dottrina-Obama; sottotitolo: L’ offerta di una mano ai nemici dell’America in Iran, Russia e Cuba rovinerà vite e molti moriranno)
Bersaglio di Kasparov è la “dottrina Obama”, la cui filosofia, dice Kasparov, è basata sul principio politico (assai rassicurante per chi, come Obama –dice Kasparov –, si sente sempre in campagna elettorale) che è molto più difficile essere criticati per un’azione non compiuta (che per una compiuta) perché it could have been worse, cioè perché un’azione potrebbe scatenare conseguenze peggiori. Gli esempi sono numerosi, dalla crisi del Medio Oriente con l’avanzata dell’Isis, all’Ukraina, alle “mani tese” verso Iran, Cuba e Russia. La conclusione: non potrebbe esserci un simbolo più tragico della fuga di milioni di Siriani per dimostrare che è tempo di abbandonare il mantra dell’era Obamiana (“le cose potrebbero andar peggio”) e di agire perché vadano meglio.
Non ho opinioni al riguardo; e viene difficile sceverare quanto c’è, nelle opinioni dell’autore, di preconcettamente ostile ad Obama e di fieramente ostile a Putin. Come, dicevo, bisogna sperare che Kasparov abbia torto e che, in futuro, il soft power americano (di cui parlava qualche anno fa Joseph Nye Jr.) si confermi più efficace di un hard power doloroso da esercitare. Sembra però da tenere presente l’opinione di Kasparov (e non solo sua) che il potere aborrisce il vuoto e che lo spazio che lascia libero sarà senz’altro occupato. (La traduzione, anche qui, è mia)

Roma, 13 settembre 2015

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