domenica 6 settembre 2015

In disparte

Divagazioni domenicali
(di Felice Celato)
Avrei voluto scrivere qualcosa, oggi, sulla Germania che accoglie i profughi Siriani con l’Inno alla Gioia, musica di Beethoven e testo di Schiller.
[Nel mio (semplificato) pantheon delle moderne culture occidentali, la Germania (insieme agli Stai Uniti) ha sempre rappresentato un punto di riferimento importante. Vi avrà certamente contribuito il grande debito che la nostra cultura ha verso il popolo tedesco, il popolo di Bach, Beethoven, Kant, Hegel, Einstein, Koch, etc. (e anche di Bonhoeffer, Guardini, Rahner e Ratzinger, ovviamente); ma posso dire che ben più vi hanno contribuito i viaggi e le molte relazioni che ho avuto, per lavoro, col mondo germanico, sempre solido, serio, spesso estremamente colto, talora anche squisitamente gentile, così lontano dal nostro che, pure, di intelligenza, almeno, non è stato avaro con sé stesso. Una delle domande più inquietanti che mi sono rivolto nello studiare la storia è come sia stato possibile che un tale popolo sia rimasto invischiato nella follia nazista (e, il nostro, col fascismo) e – guarda caso – molte delle risposte che mi sono dato hanno trovato risorse proprio in un libro – La psicologia delle masse – scritto, qualche anno prima, da un tedesco, non di nascita, ma di lingua e di cultura, Sigmund Freud].
Ma, come spesso mi accade di domenica, l’odierna omelia di p. De Bertolis mi ha “distratto” e mi ha “trascinato” a riflettere su due parole dell’odierno Vangelo che spesso sfuggono alla nostra attenzione: “Lo prese [il sordomuto] in disparte, lontano dalla folla…etc”.
Ecco: in disparte. Lontano dalla folla. Forse (l’opinione è mia, sia chiaro) anche Gesù, che tanto ha amato le persone, non amava la folla, della quale ha magari compassione ma dalla quale si trae spesso in disparte. In disparte come, del resto, talora ci chiama Dio, con le sue misteriose modalità, per aprirci gli orecchi e anche scioglierci la lingua (questo era il senso del discorso del p. De Bertolis) ; ma anche (torniamo a noi), in disparte come spesso vorremmo noi stessi sentirci nel flusso indistinguibile del rumore della folla. (Chissà se folla e follia condividono qualche lontano etimo?)
Oggi è quanto mai difficile mettersi in disparte: i “rumori” della folla, anche quando siamo soliti non frequentarla, tracimano nei media e ci arrivano agli orecchi, densi di oleosa volgarità, carichi di semplicismi ignoranti, rozzi fino all’irragionevolezza, privi – talora – anche di umanità. (L’altro giorno, solo per fare un esempio, leggevo su un giornale via internet i commenti dei lettori sulla morte di un giovane imprenditore, in un orribile incidente cittadino; e mi sono convinto che il nostro paese avrebbe prima di tutto urgente bisogno di uno stuolo di psichiatri!). E tracimando, i rumori della folla, diventano magari opinioni politiche di chi pesa solo la folla per il numero in cui si esprime e si misura; e – lo abbiamo già detto, cfr. post del 10/2/12 Ecologia della convivenza – le opinioni diventano sentimenti e, spesso tragicamente, i sentimenti fatti.
Mettersi in disparte, dicevamo, è oggettivamente difficile e, pure, necessario, per preservare la nostra dignità di individui, il rispetto della nostra stessa intelligenza, il deposito delle nostre esperienze; spesso anche solo per pensare.
Si dirà che questo desiderio di disparte è segno di vecchiezza; forse, anche se non ho mai amato le folle, nemmeno quando ero giovane (basti dire che ho fatto l’università fra il 67 e il 71 e, forse, ho partecipato ad una sola assemblea, fra le tante che se ne tenevano!). E’ certo che l’età porta con sé il desiderio di meno rumore (…ci bastano gli acufeni!) ma anche arricchisce le possibilità della selezione: si arriva ad un’età in cui, tra i tanti mali che gli anni trascinano con sé, si affaccia il bene di poter isolarci dalle relazioni non più necessarie e di poter coltivare solo quelle che ci piace scegliere, perché ci arricchiscono e ci fanno sentire in un orto separato, non soli ma nemmeno…mal accompagnati; un orto coltivato dal quale si può, beninteso, guardare fuori, anche insieme – perché sono lungi da sentirmi un anacoreta; ma nel quale non crescono erbe selvatiche. E’ questa la nostra umana disparte; per quella a cui ci chiamasse Iddio non serve fare progetti.
Roma 6 settembre 2015


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