venerdì 13 dicembre 2019

Verso la fine del decennio

Voglia di vigorosi muggiti
(di Felice Celato)
Saranno gli storici di professione, fra qualche anno, a fare un bilancio serio di questo secondo decennio del XXI secolo, che finisce fra pochi giorni. 
Io, che (come tutti i miei lettori di età superiore ai 10 anni) ci ho vissuto dentro, posso solo tentare un dilettantesco pre-consuntivo (in fondo ci sono ancora tre settimane dalle quali… è lecito aspettarsi grandi e positive novità). 
Il mondo nei suoi grandi numeri (fonte ourworldindata.org) ha seguitato a crescere: eravamo poco meno di 7 miliardi e ora siamo circa il 10% in più; non ostante ciò, la povertà (qui i dati viaggiano con un po' di ritardo ma le tendenze sono chiarissime) è diminuita in tutti i suoi segmenti (cioè da quello sotto 1,9$ al giorno fino a quello sotto i 10$  al giorno di reddito); e tuttavia rimane altissimo il tasso di errata percezione della dimensione del triste problema, dappertutto e specie in Italia. La mortalità infantile e l’analfabetismo sono anch’essi diminuiti costantemente, mentre è costantemente aumentata l’aspettativa di vita.
Ma sono anche aumentate quelle che a me appaiono le follie del mondo, che genericamente ascrivo all’ahimè vasto complesso delle seduttive narrazioni sempliciste (e talora rodomontesche), basate (in democrazia) sull’assunzione ipostatica di un consenso popolare per sua natura saggio e illuminato. Inutile dilungarsi qui ulteriormente su un tema di cui ci siamo più volte occupati; basterà fare qualche nome di questo ventennio per capirci: da Trump a Bo-Jo, fino ai (più piccoli) casi nostri, è tutto un susseguirsi di rifiuti della complessità, all’insegna delle soluzioni semplici (e vigorose, naturalmente).
In questo quadro non certo rassicurante, eccoci al nostro povero paese, ancora miracolosamente appeso ad un’Europa affannata, preoccupata e indubbiamente indebolita (almeno nel breve) dalla questione Brexit (che ha, forse, trovato in questi giorni la sua sciagurata soluzione): in 10 anni 7 governi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conti-uno e Conti- due), ognuno carico di molte promesse (escluso quello di Monti, che prometteva solo di tirarci fuori dai guai e ci è riuscito), talora anche dense di carezzevoli blandizie (il 2019 ci era addirittura promesso come un “bellissimo” anno di Nuovo Umanesimo); e più o meno tutti “rassegnati a non decidere”: non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito sé stessa… In un gioco di rimandi allo specchio di sé stessa, ha trasformato il dibattito politico in una rappresentazione in cui vale tutto e il suo contrario: l'equilibrio di bilancio come dettato costituzionale, salvo poi reclamare il diritto ad accrescere il debito; la dignità come valore fondante il lavoro, trasformata rapidamente in minuto sussidio al reddito; la semplificazione degli apparati burocratici come premessa ineludibile, salvo poi distogliere lo sguardo dal collasso dell'azione amministrativa; la democrazia diretta affermata come sostituto di ogni processo di mediazione e di composizione di interessi, fermandosi poi alla mera affermazione della legittimità nell'uso spregiudicato delle tecnologie dell' informazione. E taccia chi non ha i voti a giustificare la parola (Censis, Considerazioni generali, Rapporto 2019).
Risultati: un Paese e una società deboli e orientati verso un lento esaurimento delle qualità strutturali del suo modello di sviluppo (sempre Censis, ibidem), il debito pubblico (il macigno, per dirla con Carlo Cottarelli), che al 31 12 2009 era pari al 112,5% del PIL, è aumentato nel decennio di oltre il 20% raggiungendo ormai il 135% del PIL previsto per fine anno; la disoccupazione che era del 7,7% nel 2009, è ora vicina al 10%, ma con retribuzioni interne per unità di lavoro in calo (fonte Censis, 2019); casi industriali in conclamata paralisi decisionale sul lato pubblico; investimenti in lieve ripresa ma tuttora lontani (di un paio di punti percentuali del PIL) dai livelli del 2009-10 e, di circa tre punti percentuali (sempre del PIL relativo), da quelli dell’Unione Europea (fonte: programmazioneeconomica.gov); l'Italia in coda in tutte le principali "classifiche" fra i paesi Europei.
Conclusione: è altamente improbabile che di questo decennio sentiremo in futuro nostalgia; anche se – insegnava un mio grande capo toscano – il peggio unn’è mai morto.  
Gli anni ‘20 del secolo scorso furono definiti ruggenti; e ci portarono il jazz, il surrealismo, alcuni grandi scrittori, la diffusione dell’automobile e della radio, la grande espansione dell’industria; ma anche il fascismo e la Grande Depressione. E dunque i prossimi anni ’20 del XXI secolo proprio ruggenti non me li auguro né me li attendo, quand’anche – come dice Rifkin (Un green new deal globale Mondadori, 2019) – la III rivoluzione industriale sia alle porte con tutto il suo carico di rischi ed opportunità, come è sempre stato di ogni interruzione di continuità. E dunque, se non ruggiti, mi basterebbe qualche vigoroso muggito di buoi che si mettono all’aratro, tanto vigoroso da soverchiare il raglio dei somari e il belato delle pecore.
Roma  13 dicembre 2019, Santa Lucia.

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