Dopo una notte irritata
(di Felice Celato)
Le deludenti scelte effettuate di recente in libreria, mi hanno spinto in questi giorni a praticare più intensamente qualcosa che, del resto, da sempre amo fare: rileggere libri, appunto, già letti; ovviamente romanzi ed autori che valga la pena rileggere, chessò, nel mio modesto orizzonte letterario, i Roth (Joseph, naturalmente), i Singer (entrambi, Isaac e Israel), i Camus, gli Schmitt, i Pomilio, i Buzzati, qualche Tabucchi, etc. (senza menzionare i sommi Dante e Manzoni, che in fondo ruminiamo in continuazione; per brani, ovviamente).
[N.B. Il rileggere non è solo un piccolo esercizio di archeologia del godimento letterario; è anche una interessante scoperta delle proprie evoluzioni: rileggere e poi ripensare al primo giudizio dato sul libro al tempo della prima lettura, mi dà la misura di come sono cambiato, nei miei gusti e nelle mie reazioni difronte a quell’esercizio di esplorazione dell’esistenza che è costituito dai romanzi ben narrati; e dunque, nel bene o nel male,…. di come sto invecchiando o magari di come sto diventando più saggio!]
Qualche notte fa, disgustato – e innervosito… molto innervosito – dalla scrittura di un contemporaneo Premio Nobel (presto abbandonata senza rimpianti), ho attinto alla vasta (…ed economica) riserva del già letto, guidato dalle recenti, nuove e felici esperienze dell’autore (amato e qui tante volte segnalato); e ho ri-letto un libro straordinariamente bello: di Eric Emmanuel Schmitt, La notte di fuoco (e/o ed., 2016), che consiglio a tutti, laici, scettici, agnostici e credenti. Il libro infatti è il racconto autobiografico di come, durante un viaggio nel deserto del Sahara, a metà fra il turistico ed il professionale (l’autore, allora, esordiva nel mondo delle sceneggiature), il giovane Schmitt – allora ventottenne, filosofo di professione, esplicitamente ateo – abbia fatto l’esperienza di Dio; che lo ha reso – in qualche modo – credente: quella notte di fuoco continua a modellarmi il corpo, l’anima e la vita, come un alchimista sovrano che non abbandonerà la sua opera.
Al di là della vicenda narrata con grande arte, colpisce l’efficacia e l’essenzialità degli argomenti di un reiterato dialogo “pre-religioso” fra viaggiatori (in particolare fra l’autore ed una compagna di viaggio, una dentista parigina decisamente credente), prima e dopo la folgorante esperienza. Come pure colpisce l’epilogo, una specie di post-fazione scritta 25 anni dopo i fatti, dove, in fondo, si ritrova la chiave di lettura di tutte le opere di Schmitt, percorse da un senso del divino anche quando… proprio il divino sembra più lontano: vivo e scrivo a partire da un luogo, la mia anima, che ha visto la luce e la vede ancora, anche attraverso le tenebre più oscure…senza sentirmi un profeta e tantomeno un ispirato. Del resto, dice ancora di sé E.E. Schmitt, se mi chiedono “Dio esiste?” io rispondo “Non lo so” perché filosoficamente rimango agnostico…. però aggiungo “Credo di sì”.
Roma 19 dicembre 2019
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