Mutatis mutandis
(di Felice Celato)
Per una curiosa coincidenza, mi sono capitati in mano, in questi giorni, due piccoli libri non recenti e molto diversi fra loro (per l’epoca in cui sono stati scritti, per ambienti in cui sono nati, per radicale differenza fra i due autori), eppure entrambi centrati su un tema che – credo – gioverebbe assai avere presente come utile canone interpretativo di molte cose del nostro mondo.
Li descrivo brevemente. Il primo è un breve saggio di Arthur Miller (I presidenti americani e l’arte di recitare, Paravia Bruno Mondadori Editore, 2004, una settantina di pagine) riesumato da un amico molto colto e dotato anche di un pungente spirito critico. In esso, il grande drammaturgo americano, scomparso nel 2005, delinea, con grande acume ed ironia, un parallelismo avvincente fra l’arte del recitare – che, come drammaturgo, Arthur Miller conosceva assai bene – e quella del politico, e soprattutto quella dei politici americani che hanno fatto buon uso di quell'arte per la costruzione delle loro carriere. Il libro è pieno di piacevoli riferimenti sia al mondo del teatro e del cinema sia a quello della politica; perciò va letto. Ma mi preme qui citarne qualche passo per far capire il senso del saggio: È vero che viviamo nell'epoca dell'intrattenimento, ma è poi buona cosa che la nostra vita politica, per esempio, sia così profondamente governata da meccanismi dello spettacolo, dalla tragedia al vaudeville alla farsa? Mi ritrovo a chiedermi se questa dieta ininterrotta di emozioni costruite, recitate, e di idee precotte non costringa in maniera sottile il nostro cervello non solo a confondere la fantasia con il reale, ma anche ad assimilare questo processo nei nostri personali meccanismi sensoriali….. In una democrazia, dato il bisogno di compromessi in ogni direzione, la distanza più breve possibile tra due punti è spesso una linea curva, e così è tristemente inevitabile che mantenere la leadership richieda gli artifici dell'illusione teatrale.… Così sembra non esserci via d'uscita rispetto alla necessità tragica della dissimulazione. Tranne, certo, dire alla gente la verità, cosa che non richiede capacità recitative, ma che potrebbe danneggiare il proprio partito e addirittura, in certe circostanze, l'umanità.
Certo, conclude Miller pensando ai suoi Presidenti, possiamo goderci la politica come fuga dalla realtà proprio come facciamo a teatro, ma prima o poi dobbiamo di nuovo uscire in strada, avere a che fare con la realtà e con le morti non necessarie causate dalle nostre illusioni, con il danno subito dal nostro buon nome, con l'avallo fornito a quanti sostengono che l'America si è macchiata di colpe e nient'altro.
Il secondo è un libro, (Mussolini grande attore, Edizioni Spartaco, 2007, anch’esso di non molte pagine) scritto, settant’anni prima di quello di Miller, da Camillo Berneri, un filosofo anarchico italiano, fiero avversario del fascismo, ucciso dai comunisti catalani nel 1937 durante la Guerra Civile Spagnola. Anche Berneri coglie la convergenza quasi necessaria fra l’arte della recitazione e l’ascesa al (o l’esercizio del) potere e, naturalmente (siamo nel 1934…anno XII della cosiddetta Era Fascista), lo fa concentrandosi sulla detestata figura del Duce: Mussolini è un grande uomo politico perché è un grande attore. Si può essere un uomo politico senza essere attore? Penso di no. La politica non è un'attività pienamente compresa e descritta nella cinica definizione di Talleyrand (“un certo modo di agitare il popolo prima dell'uso”). La base della fortuna dell'uomo politico che arriva al potere, nel quadro di un partito o di un regime, fu, è e sarà sempre quella del tribuno, del giornalista, del tattico [NdR: l’accostamento fra tribuno e giornalista mi pare proprio gustoso e....nostrano!]. Ma lo fa, da filosofo, allargando lo sguardo sulla storia con giustificata amarezza: come i vermi che formicolano su un cadavere consentono di stabilirne il grado di decomposizione, così la specie di avventurieri che riescono ad imporsi in un dato momento storico illuminano lo stadio di decadimento di una nazione. E così, Mussolini non è stato e non è che un attore della tragedia italiana. Grande attore bisogna riconoscerlo. Ma un paese non è un teatro, e il marasma economico, le carceri piene di innocenti, le isole del confino, il tribunale speciale, l'inquisizione poliziesca, la milizia, l'esilio: tutto ciò dimostra che arrivare al potere e più facile che essere un uomo di Stato e che non si possono risolvere con la forza bruta i problemi vitali di una nazione.
Da questi punti vista tanto distanti e pure tanto concettualmente convergenti, abbiamo qualcosa da sovrapporre ai nostri tempi nel nostro paese?
Forse; mutatis mutandis, ovviamente; fatte le debite proporzioni e, s’intende, si parva licet componere magnis.
Roma 17 dicembre 2019
Nessun commento:
Posta un commento