venerdì 27 dicembre 2019

Ultima segnalazione dell'anno

Demopatia
(di Felice Celato)
Sono contento di aver dato la precedenza, fra i vari saggi in pipeline sul mio tavolo, alla lettura di un libro (di Luigi Di Gregorio, Demopatia, Rubbettino, 2019) che sarebbe risultato… poco adatto a cominciare l’anno ed il decennio; e di lasciare in eredità a quest’anno bellissimo (così almeno ci era stato promesso) anche la piccola fatica che ho fatto a leggerlo, o, meglio, a finire di leggerlo; non certo per l’oscurità del linguaggio (anzi il testo è molto chiaro ed anche ben scritto) o per l’uggiosità della trattazione (anzi, il libro si legge bene – non ostante qualche argomento riproposto più volte – ed è anche lucido, interessante, vivace e “lessicalmente” suggestivo). In verità la ragione della fatica (e della sazietà che in qualche pagina sopraggiunge) è legata al… deprimente sostrato della trattazione. La tesi di fondo del libro (riassunta dallo stesso autore nell’Introduzione) è – infatti –  che la democrazia è malata perché è malato il dèmos. Il dèmos si è ammalato “inevitabilmente” (una sorta di malattia autoimmune e degenerativa) perché la sua patologia è il derivato della lunga transizione alla post-modernità.
Lo svolgimento della trattazione segue uno schema “clinico” (sintomi, eziologia, diagnosi e terapia); ma di sicuro – lo stesso autore ne è cosciente – la parte “terapeutica” (poco più di una ventina di pagine delle complessive 300) non riesce a convincere quanto quella (veramente deprimente) della analisi dei sintomi e della formulazione della diagnosi. La malattia del dèmos è grave e diffusa; e giustifica una prognosi riservata, come forse ogni patologia autoimmune e degenerativa. Per carità, le molte pagine riservate alla descrizione dei sintomi ed alla loro eziologia non sorprendono nei loro singoli enunciati (quand'anche talora, forse, da meglio definire); anche solo le nostre piccole segnalazioni (dai Rapporti del Censis, ai testi di De Rita, di Bauman, di Valerii, di Mounck, di Brenner, di Levitsky e Ziblat, di Orsina, etc.) e qualche altra diretta riflessione che abbiamo fatto su questo blog, non giustificherebbero nessuna sorpresa sullo stato della nostra società e della  democrazia liberale (beninteso: non solo in Italia ma almeno in tutto il mondo occidentale!). Ciò che angustia è il dovere riconoscere la pesantezza del quadro che, tutti assieme, quei sintomi delineano, anche nella loro organicità, così come Di Gregorio la legge con chiarezza e con ricchezza di riferimenti: ci ritroviamo in democrazie dominate dall’emozione pubblica, dall'analfabetismo funzionale e di ritorno, da mass-media sensazionalistici, disinformati e talvolta manipolatori, dalla mediocrazia come selezione a rovescio della classe dirigente, dalla followship al posto della leadership. Ci siamo arrivati evolutivamente - o involutivamente - per la naturale reazione ad una serie di trasformazioni sociali ed innovazioni tecnologiche. Cercate e fortemente desiderate.
Di fronte a questo quadro “clinico”, immaginare – come fa l’autore – che la “cura” possa essere quella di contro-narrare i fondamenti della democrazia liberale, non più con gli argomenti logici che l'hanno vista nascere e crescere nell'era tipografica ma con “le storie che incantano” che contraddistinguono l'era elettronica e ancor più la sotto-fase digitale, può sembrare almeno illusorio. E, come dicevo all’inizio, Di Gregorio non manca di cogliere il limite di questa prospettiva, citando Carlo Galli (Il disagio della democrazia, Einaudi, 2011): se è vero “che il trono della democrazia è oggi vuoto – non vi siede né il popolo né lo Stato, né il soggetto, né i partiti – è vero anche che quel trono c'è ancora. Nel bene e nel male. Si tratta di capire se quel trono è solo un simulacro, e se siamo in realtà davanti alla crisi finale della democrazia moderna, cioè della politica moderna” oppure se siamo in grado di ricostruire un senso, facendo i conti con la storia e con i mutamenti antropologici.
Da questi pochi cenni, credo si possa capire perché, come dicevo all’inizio, ho fatto un po' di fatica a leggere serenamente (come il periodo natalizio richiederebbe) il libro di Di Gregorio; che tuttavia mi sento di raccomandare (specie agli ottimisti senza scrupoli, direbbe Scruton) per l’organicità della trattazione, soprattutto – lo ripeto – nella spietata ed ampia TAC psico-culturale delle società in cui viviamo.
Roma 27 dicembre 2019







Nessun commento:

Posta un commento