27 maggio: livelli di interpretazione
(di Felice Celato)
Non è questa la sede per fare analisi del voto (e del resto i giornali ne sono e ne saranno pieni per giorni); e chi scrive non ha titolo per farne di originali: la politica è un mestiere che non ho mai fatto (e che, invece, occorre conoscere), né (per il bene dei miei concittadini) ho aspirato a fare. Mi limito a leggere i giornali (spesso con disgusto) e a coltivare gelosamente le poco modeste certezze di possedere una conoscenza del mondo economico largamente superiore a quella diffusa fra i nostri politici (e molto spesso anche fra i loro commentatori professionali), nonché di aver fatto anche qualche intensa lettura per capire come gira il mondo (anche qui, con ogni probabilità, in misura superiore a quella usuale presso i nostri frenetici politici, che, del resto, se ne fanno, di letture, non è mai per capire ma per parlare).
Da questo poco esperto punto di vista, posso solo dire che, mi pare, in Europa (e questo è lo scenario che più conta) non abbia prevalso l’enterofrenìa di cui parlavamo qualche giorno fa: la consultazione ha visto una percentuale di votanti in crescita (a livello Europeo, ma non in Italia); tutto sommato le forze Europeiste hanno tenuto, non ostante la pressione cui sono state sottoposte, per esempio in Francia, in Italia, in UK (per quel che serve) o in Ungheria (per quel che vale); con “ricambi” interni che non mi pare pongano in questione l’eurocentrismo della grande maggioranza degli eletti al Parlamento Europeo (e anche degli elettori Europei); diventa decisivo il ruolo dei liberali (e questa è – in principio – un’ottima cosa) e cresce molto il peso dei Verdi, che non possono essere annoverati fra i nemici dell’Europa.
[Il Parlamento Europeo pubblica i risultati delle elezioni, raggruppati per formazione politica europea e aggiornati in tempo reale, nel sito di cui al link sotto indicato]
L’interpretazione Italo-centrica (e perciò secondaria) del voto Europeo, secondo me, è, invece, più negativa: se, da un lato, diminuisce l’ambiguità politica della compagine di governo, a favore della parte di essa almeno più fattiva dal punto di vista economico (vedremo subito con la TAV); dall’altro, cresce – sia pure marginalmente – il grado di febbre anti-Europea (ancorché, forse, se ne indebolisca il contesto, come avremo occasione di capire presto); quanto al tasso di fascinazioni illiberali che forse percorrono il nostro paese, resta da vedere quanto peserà la dose di realismo di cui si potrebbe anche far credito ad alcuni dei nostri governanti, se non proprio (e questo per me è il dato da osservare con maggiore ansia) agli elettori nostrani, sempre lusingati da chi, per loro conto, fa mostra di vigore. Nel breve periodo, infine, rimango molto inquieto per quello che sarà, sulla base delle indicazioni elettorali, il destino del nostro approccio al problema dell’immigrazione; problema di civiltà e di cultura, prima ancora di essere un problema solo politico (e perciò mi preoccupa). Invece, quello che poi sarà l’immediato riverbero politico del voto europeo sulle sorti materiali del governo Italiano, non mi incuriosisce più di tanto: le sue sorti vere (e quindi meta-partitiche) dipendono da quello che occorrerà fare o si farà in economia: e in questo ambito nulla è cambiato col voto, se ne è solo accorciata la scadenza. Dunque, voltiamo pagina e aspettiamo di capire (e di vedere).
Per concludere questo programmaticamente inutile post, mi viene naturale citare nuovamente, come pro-memoria culturale e punto d’appoggio della mia speranza politica, un passo del saggio di Panebianco che abbiamo segnalato qualche giorno fa: un, sia pure imperfetto, ordine liberale offre più di quanto prende, distribuisce “beni pubblici” (condizioni favorevoli allo sviluppo economico, sostegno alla democrazia e guida ai governi per consenso, preservazione della pace) il cui afflusso è nell’interesse di tutti non interrompere.
Speriamo che tutti, eletti e – soprattutto – elettori, lo abbiano sempre presente.
Roma 27 maggio 2019
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