martedì 7 maggio 2019

Identità

Un must read, si direbbe oggi
(di Felice Celato)
Eccoci di nuovo ad un libro che merita senz’altro la (piccola) fatica della lettura: di Francis Fukuyama, Identità (Utet, 2019).
[N.B.: Francis Fukuyama, politologo statunitense di evidenti origini giapponesi, è noto ai più per un libro del 1992 (La fine della storia e l’ultimo uomo) che viene spesso approssimativamente citato come esempio di una profezia non avveratasi: la “storia” – sembrano dimostrare i fatti, secondo i suoi detrattori – non è finita con il definitivo trionfo delle democrazie liberali, come si vuole che Fukuyama avesse predetto. Non è il caso di entrare qui sull’argomento (del resto il libro l’ho letto tanti anni fa e i miei ricordi non vanno al di là del suo senso di fondo); basterà dire che l’autore, sia nella prefazione al libro di cui oggi parliamo sia in articoli pubblicati nel tempo, ha provveduto a commentare brevemente il contenuto delle critiche ricevute, distinguendo fra quelle ragionevoli e quelle stupide o fondate su una semplice mancata comprensione del senso del suo famoso testo (del 1992) che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo.]
Il senso del nuovo libro di Fukuyama sta tutto in una serie di considerazioni che tenterò di brevemente riassumere, in pillole; ma il testo è – ovviamente – assai più articolato di quanto si possa qui dire e ricco di considerazioni storico-sociologiche su scala globale, esposte con chiarezza e ricchezza di argomentazioni. 
Il problema dell’identità risiede nel tymos, qui inteso come la sede del giudizio di valore, una sorta di terza parte dell’anima (psyche, in greco, e terza rispetto alla parte desiderante e alla parte calcolatrice, già identificate da Socrate) nella quale alberga l’aspirazione al riconoscimento del proprio valore [da qui l’isotimìa, l’eguaglianza coessenziale alla democrazia; ma anche la megalotimìa, il desiderio di essere riconosciuti come superiori, che in qualche modo contraddice proprio la democrazia].
All’inizio del XIX secolo, la politica del riconoscimento…è giunta ad un bivio: da un lato il riconoscimento universale dei diritti individuali (..le società liberali che cercavano di offrire ai cittadini un ventaglio sempre più ampio di libertà individuali); dall’altro le asserzioni di identità collettiva, della quale le maggiori manifestazioni erano il nazionalismo e la religione politicizzata.
Le vicende di questa politica del riconoscimento, le sue ulteriori mutazioni nei vari contesti mondiali del XX secolo [la promozione sociale dell’autostima, intesa come fattore della felicità; il narcisismo; la dignità come istanza democratica; la proliferazione delle identità di gruppo; la “scoperta” delle funzioni civili dell’identità; la sua convivenza con le irrinunciabili modalità cosmopolite del nostro vivere contemporaneo; etc], unite al profondo radicamento del tymos nella psiche  (come terza parte dell’anima), fanno sì che, in fondo, non possiamo sottrarci al senso dell’identità o alla politica identitaria.
Che fare, allora? si domanda Fukuyama nel capitolo finale del suo volume. Come fare leva su questa “poderosa idea morale che ci è piovuta addosso”, preservando le nostre società dai mali delle sue involuzioni? La sua risposta sta tutta nel riconoscimento della pluralità delle nostre identità (i lettori ricorderanno le identità multiple di cui parlava il qui più volte citato Amartya Sen), anzi addirittura nella promozione di una composita identità dottrinale, una sorta di identità artificiale, costruita attorno alle idee fondanti della moderna democrazia liberale….(una visione di virtù positive, non legate a particolari gruppi, che sono indispensabili per far funzionare la democrazia liberale. Insomma non smetteremo di pensare a noi stessi e alla nostra società in termini identitari, ma dobbiamo ricordare che le identità che albergano nel nostro profondo non sono né invariabili né necessariamente fornite dalla contingenza della nostra venuta al mondo. L’identità può essere usata per dividere, ma anche, come è successo, per integrare.
Se questa super-sintesi non è riuscita a distruggere il grande valore culturale e civile del testo di Fukuyama, sono convinto che molti dei miei lettori non esiteranno a godersi lo sviluppo del pensiero dell’autore lungo tutto il testo.
Roma 7 maggio 2019

P.S.: Voglio citare integralmente un altro passo (del tutto incidentale) del libro, che mi ha veramente colpito: Pensateci la prossima volta che fate l’elemosina ad un povero senza guardarlo negli occhi: state alleviando il suo bisogno materiale, senza però riconoscere la comune umanità tra voi e il mendicante. (Fukuyama non è sicuramente cattolico, non so se sia cristiano né se sia religioso; è un americano nato negli USA da padre giapponese. Semplicemente un umano).






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