giovedì 9 maggio 2019

La società divergente /2

L'immaginario dello sviluppo
(di Felice Celato)
Qualche giorno fa, parlando del 25 aprile, mi è capitato di usare un termine – la società divergente – che riferivo ad una sobbollente deriva collettiva della nostra società (non recentissima ma di certo recentemente irrobustita da idonee narrazioni politico-sociali) intesa a “valorizzare” i miti negativi che catalizzano il rancore e l’incattivimento, allontanando la nostra società dall’onda lunga della storia del nostro vivere sociale; e anche da un tradizionale modo di pensarsi della nostra civitas.
Bene: di questa divergenza sembra dare atto documentato – sia pure per cogliere (starei per dire: amorevolmente) i germogli di un rinnovato sogno italiano – la ricerca Censis-Conad presentata ieri a Roma col titolo Verso un immaginario collettivo per lo sviluppo.
Ne viene fuori un quadro interpretativo complesso (e per alcuni aspetti assai incoraggiante) di nuove ed antiche pulsioni positive che sembrano sgorgare da un (ancora confuso) bisogno di risanamento dell’humus valoriale del quale è intriso il nostro immaginario collettivo. 
La ricerca (facilmente scaricabile dal sito del Censis) ci dipinge un’Italia tuttora segnata da un mood negativo, caratterizzato da aspettative generali ed economiche recessive, da ampie sacche di sfiducia nella classe lato sensu dirigente del paese e da un profondo senso di insicurezza personale ed economica (la ricerca non affronta il tema del gap reale-percepito che naturalmente si correla alla corretta valutazione dei fatti e dei dati). E purtuttavia diversi dettagli dell’analisi demoscopica lasciano intravvedere una capacità di distinzione non del tutto allineata sui prevalenti indirizzi mediatici; e soprattutto un ancora robusto attaccamento ai fondamenti di una società aperta, in una chiave europeistica non del tutto obliterata. Il che, in qualche modo, sorprende, considerando il contesto delle narrazioni prevalenti.
La sezione finale della ricerca costruisce una mappa di ciò che, ad avviso degli italiani, serve per tornare a crescere. Il Censis ne dà una lettura più profonda di quanto i dati pubblicati in una slide riassuntiva consentano di fare, introducendo considerazioni di valore che ho trovato la parte più stimolante della ricerca. Confesso, tuttavia, che ho fatto fatica a distinguere quanto a fondo l’interprete abbia lavorato solo sui dati sottostanti (dei quali non conosco il dettaglio) e quanto, invece, sia frutto di sue più vaste letture del contesto sociologico italiano (e delle medicine di cui abbisogna), nelle quali, del resto, al Censis riconosco un grande scrupolo di accuratezza, non disgiunto da una profonda com-passione per il malato. Proprio per quest’ultimo motivo, mi porto volentieri a casa questi elementi di speranza che, qui, cerco di sintetizzare citando vari passi della parte finale della relazione del Censis (i miei abituali lettori non faticheranno a riconoscere quelli che hanno suscitato il mio entusiasmo; e avranno pazienza per il superamento del limite delle 750 parole che sempre cerchiamo di rispettare).
  • L’immaginario del rancore non è la naturale proiezione del carattere italiano, ma – come emerge dal punto di vista degli italiani – l’esito di una base materiale che si va restringendo…..Le radici sociali sono note: blocco della mobilità sociale, aspettative decrescenti, disillusione verso promesse di politica e di economia che hanno come esito l’incertezza pervasiva e il nervosismo sociale del quotidiano: tutto ciò̀ ha incattivito il rancore.
  • La libertà individuale conta per gli italiani più̀ dell’uguaglianza, più̀ della protezione, più̀ della generosità̀: non che queste ultime non siano importanti, ma sono interpretate come funzionali al grande sogno della ricerca individuale del benessere, della possibilità̀ di poter dispiegare la propria soggettività̀.
  • La libertà individuale per dispiegarsi non ha bisogno di un contesto conflittuale e aggressivo, e non ha certo bisogno dell’immaginario del rancore e dell’incattivimento. 
  • La politica…. non crea lo sviluppo, può̀ favorirlo o ostacolarlo.
  • La pretesa di imporre a economia e società̀ la camicia di forza del bene normativo tramite editti trasforma il ritorno della sovranità̀ della politica nell’incubo dell’invadenza che tarpa le ali ai soggetti economici e sociali. 
  • Così è importante valorizzare, promuovere, tutelare i soggetti economici e sociali che sono attivi e che hanno bisogno di un clima favorevole alla libertà individuale e di scelta e di una buona relazionalità̀ sociale. 
  • Diventa decisivo in questa fase rendere evidente e potente il nesso tra immaginario del noi e sviluppo, come alternativa globale all’immaginario dell’io egoista come volano di decrescita e stagnazione. 
  • Per ricominciare a sognare vanno resi evidenti i costi del rancore e del neopaternalismo normativo e regolatorio come vincoli allo sviluppo collettivo.
  • Sognare vuol dire forzare l’orizzonte, andare oltre il puro rifiuto di qualcosa (dagli esiti della globalizzazione al cambiamento del quotidiano), pensare in grande avendo come riferimento preciso di un immaginario dello sviluppo la libertà individuale, che è il più̀ potente motore per migliorarsi e, oggi, per generare responsabilità̀ sociale diffusa, che crea legami, valore sociale, cultura collettiva. 
  • Ancora una volta, la libertà individuale può̀ essere il solo vero motore del nuovo sogno italiano

Roma, 9 maggio 2019

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