Tristi primati
(di Felice Celato)
Avendone fatto fugace cenno ieri, (si direbbe) mi corre l’obbligo di tornare brevemente su un libro appena uscito (di Nando Pagnoncelli, La penisola che non c’è. La realtà su misura degli Italiani, Mondadori, 2019) che, peraltro, fa aggiornato seguito ad uno analogo dello stesso autore (Dare i numeri, EDB 2016) qui segnalato con la sesta puntata di Defendit numerus di giusto tre anni fa (il 14 maggio 2016).
Il libro tratta – come si capisce dal titolo – dello sconfortante primato che l’Italia si è guadagnata da tempo e che tuttora detiene fra i paesi (certamente tutti quelli con cui amiamo confrontarci) considerati dalle indagini demoscopiche sulla disinformazione (misperception) e sulla incosciente arroganza con la quale (la maggioranza de-) i cittadini Italiani difende la propria distanza dalla realtà. L’Italia, infatti, è risultato – scrive Pagnoncelli - il primo paese per distanza fra il dato percepito di un fenomeno e l’effettivo dato numerico di quello stesso fenomeno….Siamo un paese che da tempo ha rinunciato al principio di non contraddizione, un paese in cui alberga l’assurdo, la botte piena e la moglie ubriaca, dove la mancanza di competenza è associata ad un discredito della competenza stessa, e dove, quindi, le persone si sentono legittimate ad esprimere un parere anche su questioni di cui ignorano tutto o quasi.
Questo tema, come sanno i lettori più affezionati, è quasi un’ossessione di queste nostre conversazioni asincrone, perché da tempo ci è chiara la devastante influenza di un’opinione pubblica disinformata, emotiva e incompetente, sui destini politici del nostro Paese: questa dispercezione non è indolore, non è semplice “aria fritta” ma comporta una ricaduta concreta e decisiva sul cosiddetto sentiment, sull’atteggiamento generale dei cittadini, sul senso di coesione civile, sull’indice di fiducia nel futuro, sul rapporto con le istituzioni, sulla propensione a consumare o a risparmiare – in altre parole, sulla vita di tutti noi.
Non è il caso, qui, di menzionare le tante cifre di questo disordine percettivo del paese che Pagnoncelli descrive da grande professionista della materia: dall’economia alla sicurezza, dall’incidenza delle migrazioni, alla composizione della stessa popolazione del paese, dalla salute alle credenze e ai consumi, è tutto un dilagare di percezioni clamorosamente erronee, sicché Pagnoncelli parla di fine dei fatti come punto di riferimento della realtà (e quindi come base di giudizio politico del famoso popolo sovrano).
L’autore del libro, peraltro, come è un po' la caratteristica di altri autorevolissimi indagatori della nostra società (da noi qui sempre seguiti), si sforza di essere, oltreché un lucido diagnosta, anche un medico sollecito di una sperata guarigione della nostra società malata di misperception (i sintomi: percezioni che prevalgono sulla realtà, competenze scarse, indisponibilità a mettere in discussione le proprie credenze, generale arroccamento difensivo, ambivalenze diffuse, giudizi asimmetrici, informazioni disomogenee). E prova a mettere insieme una ricetta che, partendo dalla riscoperta del senso perduto delle parole, richiama l’esigenza di una narrazione autentica, documentata e (anche) passionale…una vera contronarrazione. Sì, passionale, perché in fondo – dice Pagnoncelli – il tessuto economico, i pochi ma significativi depositi di creatività, la vitalità, il capitale sociale (qui inteso come solidaristico senso della comunità) e il patrimonio culturale di questo nostro stanco paese meritano forse, appunto, una contronarrazione appassionata dei nostri punti di forza, una specie di nuovo mito fondativo che vale la pena di coltivare per non cedere allo sconforto.
Quali che siano le reazioni dei miei lettori a questo abbozzato progetto palingenetico, il libro va letto e meditato (fra l’altro è anche ben scritto); comunque esso aiuta a capire, a correttamente dimensionare il mito corrente del popolo saggio e – forse – a non disperare.
Roma 24 maggio 2019
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