Neo-liberismo percepito
(di Felice Celato)
L’asfalto, da noi – si sa, ci abbiamo anche brevemente scherzato qualche anno fa (Parole, parole, parole, del 20 novembre 2014) – è sempre “reso viscido dalla pioggia”; come il silenzio è sempre “assordante”, o i baroni “inamovibili”, le tragedie "annunciate” o la nostra costituzione “la più bella del mondo”. Amiamo i polifonemi complessi, dove i suoni in cui si articolano i sintagmi perdono la loro significanza a vantaggio di una corriva banalità del parlarsi per sentirsi parlare.
Anche il liberismo non si sottrae alla regola, sicché lo sentiamo sempre nominare come “neo-liberismo sfrenato”. Bene: a questo tema (direi: del liberismo percepito e di quello reale) è dedicato il recente libro di Alberto Mingardi (direttore dell’Istituto Bruno Leoni), dal lungo ed esplicito titolo La verità, vi prego, sul neoliberismo – Il poco che c’è, il tanto che manca (Marsilio, 2019).
Dico subito che la lettura si raccomanda particolarmente agli uomini di poca fede…liberale (ma, ovviamente, di adeguata sensibilità culturale), come… viatico per un cammino di conversione.
Nulla meglio di questa citazione dal testo di Mingardi descrive il contenuto del libro:Questo libro è scritto per mettere ordine: le parole sono importanti, vediamo di usarle bene. Per metà, le pagine [del testo]….sono dedicate al poco o tanto neoliberismo che abbiamo conosciuto. Anzitutto cercherò di distinguere fra il neoliberismo “in senso proprio”, cui si deve il cosiddetto miracolo economico tedesco degli anni cinquanta e di cui proverò a mettere a fuoco gli elementi di originalità, e neoliberismo “in senso lato”, la “leggenda nera”. Proverò quindi a comprendere quanto neoliberismo ci sia nella globalizzazione e quale è stato l’effetto, sul mondo in cui viviamo, dell’apertura dei mercati e dell’intensificarsi degli scambi. Per l’altra metà, il libro si confronta con gli argomenti dei nemici del neoliberismo, in particolare di quelli che desiderano un maggior impegno dello Stato in economia e di quelli che vorrebbero presidiare con ancora maggior decisione le frontiere. Prenderò in esame l’idea che ci voglia “più Stato”, perché senza di esso l’economia di mercato è una specie di maionese impazzita, incapace persino di produrre quell’innovazione diffusa che dovrebbe essere il suo tratto distintivo. Infine, tenterò di ragionare su un tema sul quale ragionare non dovrebbe essere facoltativo: l’immigrazione. La questione è talmente pervasiva, nel dibattito contemporaneo, che costringe a interrogarsi su come stanno cambiando le forze politiche, le preferenze degli elettori, le furbizie dei leader.
Dovrebbe bastare per suscitare la curiosità del lettori…convertendi; per noi da sempre liberali (plurale maiestatis, cioè per me), il libro è stato di conforto in un periodo molto avaro di conforti intellettuali: in fondo il liberismo, nelle forme che la storia e il pensiero hanno reso compatibili col secolo che viviamo (Mingardi fa un’ampia digressione sul liberalismo storico e sull’origine del neoliberismo), è una forma di umanesimo che chiede di tenacemente provare, nella maniera inevitabilmente imperfetta e manchevole di tutte le cose umane, a rendere un po' più libere e responsabili le persone.
Per contro, all’origine dell’ubiqua.. critica del neoliberismo… c’è, forse, come scrive Mingardi, un’ostilità che precede la comprensione; e anche l’umanissimo desiderio di trovare un colpevole per i nostri problemi: e c’è la furbizia tutta politica di indicarlo nelle forze impersonali dell’economia; il “neoliberismo sfrenato”, appunto, o il mercato o i mercati: poco importa che nessuno abbia mai visto un “mercato” andare a votare o che i famelici “mercati” non abbiano una regia o un capo (se non nella fantasia malata di qualche inveterato complottista).
O forse all’origine dell’ubiqua... critica del neoliberismo…. c’è l’illusione percettiva che Mingardi descrive riprendendo un concetto di Josè Ortega y Gasset (da La ribellione delle masse): Venuti al mondo in una moderna società industriale, finiamo per credere che la civiltà in cui siamo nati sia «naturale». Diventiamo qualcosa di simile al «bambino viziato della storia umana, l’erede che si comporta esclusivamente come erede», convinto, per parafrasare i tre quarti dei politici contemporanei, che l’unico problema sia distribuire correttamente una ricchezza che miracolosamente continuerà ad essere prodotta; e dunque perché preoccuparsi di come produrla?
Concludo la segnalazione: il testo è lungo e appassionato. Se ne consiglia la lettura solo agli insoddisfatti del presente; gli altri possono farne a meno.
Roma 23 gennaio 2019
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