martedì 29 gennaio 2019

Letture commemorative

Andreotti
(di Felice Celato)
Un quarto post di Letture in un solo mese è forse troppo! Ma, francamente, al maggior tempo disponibile si è aggiunto anche un marcato disgusto per le cronache che, inevitabilmente, spinge ad evadere verso scritti meno intrisi di quotidiano e – per diretta conseguenza – meno futili. 
Così eccomi ad una nuova segnalazione di un volume appena edito dal Corriere della Sera, per la penna di Massimo Franco, colto notista politico di lunga esperienza, in occasione del centenario della nascita di Giulio Andreotti, nato, appunto, nel 1919 e morto, come tutti sanno, nel 2013: C’era una volta Andreotti (CdS, 2019). Il sottotitolo (Ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese) dice tutto sul taglio del bel libro che, in quasi 500 nitide pagine, ripercorre una biografia di Giulio Andreotti incentrata più sull’uomo e sul suo tempo (che poi è stato anche il nostro) che sul dettaglio delle vicende politiche e giudiziarie di cui è stato controverso protagonista: una volta – scrive Massimo Franco – confessò a un socialista ammirato e un po' invidioso che, guerre puniche a parte, lo hanno accusato di tutto quello che accadeva in Italia. Esagerava, naturalmente. E gigioneggiava, anche. Per Giulio Andreotti, l’immagine di uomo-scandalo è stata sempre un pezzo della sua carta di identità: e non il più piccolo. In fondo, ha rappresentato l’altra faccia della sua celebrità quasi cinematografica, il suo versante luciferino, misterioso, dannato, affascinante. Anzi, probabilmente ha costituito la vera base delle sue fortune e alla fine, dei suoi guai. Essere stato al governo per oltre quarant’anni ha contribuito al successo andreottiano, certo. Ma don Giulio il successo se l’è costruito anche entrando  e uscendo come uomo-salamandra in tutte le vicende più torbide della politica italiana. Nella realtà,  forse, aggiungerei io; e nella fantasia smodatamente mitologica dei suoi più tenaci odiatori, spesso.
Come sempre per gli uomini di successo, il viale del tramonto è quello più indicativo della stoffa umana, che il lungo percorso per tanto tempo ha ammantato di lustrini. E Giulio Andreotti, simpatico o antipatico che fosse a ciascuno di noi, suoi contemporanei, ha vissuto con dignità l’uscita dalla scena dell’esistenza, dopo aver attraversato anche periodi estremamente bui. Lui stesso, che aveva tante volte ironizzato pubblicamente e privatamente sulla propria morte, aveva lasciato ai suoi una bozza di “coccodrillo” nella quale, dei suoi tre processi, scriveva: ”Come tanti altri uomini politici è stato coinvolto in “trappole giudiziarie” che ha affrontato serenamente fino alla completa ‘assoluzione’ da parte della magistratura”Dettaglio curioso – aggiunge Massimo Franco – la parola assoluzione era messa tra virgolette (e le furibonde - e anche un po' vergognose -damnatio memoriae che su di lui si sono prodotte post-mortem sono la testimonianza di quanto azzeccate fossero quelle virgolette).
Come che sia, Giulio Andreotti, nel bene e nel male, è il simbolo della cosiddetta Prima Repubblica, della quale le sue vicende, dall'alba al tramonto, sono lo specchio. Anzi, della Prima Repubblica, come scrisse la rivista di geopolitica Limes (citata nel libro di Massimo Franco) Andreotti aveva incarnato il profilo geopolitico, perché solo lui riusciva contemporaneamente a garantire sovietici, americani e preti…Faceva parte di una élite di poche decine di persone che si riconoscevano e si consultavano nel mondo quando si registravano momenti difficili. Era un club informale di interlocutori decisivi fra USA, URSS, Francia, Germania: dagli Anni Sessanta del Novecento fino alla fine della guerra fredda….
Dopo la caduta del Muro di Berlino, forse, come scrivono Caracciolo e Franco, l’intera classe politica rivelò… un serio ritardo di cultura strategicaPer questo, nell’Italia post-Andreottiana, senza veri caposaldi geopolitici, di lui non resta quasi nulla.
A me personalmente, di Andreotti uomo pubblico resta, invece, accanto alla memoria di tante sue acute e maliziose osservazioni, una memoria serena: ogni tempo ha i suoi uomini, ogni uomo ha il suo tempo.
Quel piccolo cratere quasi perfettamente circolare che si dice abbia lasciato sulla spalliera della sua poltrona di senatore a vita è una specie di non-monumento alla sua consuetudine con le attività parlamentari; ma anche una metafora del Belpaese storto, ripiegato su se stesso millimetro dopo millimetro.
Roma  29 gennaio 2019

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