venerdì 18 gennaio 2019

Mayday

May’s day
(di Felice Celato)
Come sanno tutti quelli che si sono un po' occupati di trasporti, l’espressione mayday è convenzionalmente usata in tutto il mondo per segnalare una richiesta urgente di aiuto da parte di una nave o di un aereo in grave difficoltà (pare che la parola sia un’anglicizzazione del francese m’aidez, cioè aiutatemi!). 
Ma a me è tornata in mente in questi giorni, nella forma del giuoco di parole usato come titolo di questo post, mentre seguivo le convulsioni Inglesi sulla famosa Brexit, provando, nello stesso tempo, a restare distaccato dalla sua cronaca (e dalle inevitabili tifoserie intellettuali che la vicenda può suscitare dentro ciascuno di noi; ed io, lo sanno i miei lettori, in fatto di Europa, tifo Europa!). 
Esercizio – lo riconosco – difficile, tanto se ne parla e se ne legge, spesso con simpatie e antipatie che possono far velo alla valutazione delle cose; ma esercizio utile, se può servire a trarre elementi di riflessione dalle difficoltà nelle quali si è cacciato il Regno Unito (e la sua premier Theresa May) per dar corso ad una scelta che – a mio parere – è, ad un tempo, popolare e dissennata.
A coloro che – inossidabili cultori del mito del popolo – trovino scandalosa la sola giustapposizione dell’aggettivo dissennata al mito fondante di ogni democrazia (il popolo, detentore supremo di giudizio e sovranità), tornerei a raccomandare una lettura qui più volte segnalata (Il “crucifige” e la democrazia, di Gustavo Zagrebelsky, Einaudi, 2007) che, mi pare, fa saggia giustizia del mito (nulla è tanto insensato… quanto la divinizzazione del popolo di cui è espressione la massima Vox Populi Vox Dei, una vera e propria forma di idolatria politica) e fonda invece (o forse solo rispolvera e rinomina) un principio di civile ragionamento al riguardo (la democrazia critica), che può tornarci assai utile avere presente, specie in questi tempi in cui da noi si discutono riforme della Costituzione nel senso di una maggiore "democrazia diretta". Comunque di Zagrebelsky e della sua democrazia critica abbiamo già parlato (vedasi post Letture del 19 settembre 2013) e non è il caso di tornarci sopra ancora.
Piuttosto mi preme mettere in evidenza come ormai vada facendosi strada la tesi che, fra i disastri del referendum Exit or Remain del 2016, ci sia – oltre che il risultato concreto – anche quello della difficile praticabilità di un ripensamento nelle stesse forme (un nuovo referendum): insomma – così scrivono molti osservatori assai più competenti di me in questo genere di cose (per tutti vedansi Fisher e Taub su The Interpreter del NYT: The big risks of a second Brexit referendum) – sembra che l’unica via d’uscita dal May’s Day sia una soluzione politica, sotto forma di ribaltamento della maggioranza di governo (nuove elezioni) ovvero di ritessitura del negoziato con l’Europa; nell’assunto – nel primo caso – che un nuovo governo se la senta di esplicitamente candidarsi per “ribaltare” questa famosa volontà del popolo, come che sia stata, a suo tempo, malauguratamente espressa.
Non mi avventuro, ovviamente, in previsioni; ma il messaggio che – spero – anche noi se ne possa trarre, è che il referendum, sia su cose serie sia su cose futili (come si prospetta, ovviamente, da noi) in qualche modo “brucia” (per carità: in forma apparentemente democratica!) persino la possibilità (ed il beneficio) della revocabilità e della rivedibilità di ogni decisione politica, assumendo (follemente!) un significato… sacrale  che gli è totalmente improprio: nel migliore dei casi, il popolo comprende il quesito che gli viene posto, nella forma in cui gli viene posto; e ne esplora i significati secondo quello che gli viene detto. Dice ottimamente Nadia Urbinati (Columbia University), citata da The Interpreter: “un referendum non è una forma di democrazia diretta: la si usa quando un sistema rappresentativo decide che desidera avere il supporto del popolo su una cosa che ha già deciso di fare".
Eh, sì….bisogna che qualcuno abbia deciso che cosa fare… questo è il problema, sia che si tratti di Brexit sia che si tratti di TAV. 
Speriamo che anche da noi non giunga il tempo di un sofferto Mayday (m’aidez!)!
Roma 18 gennaio 2019

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