Global Innovation Index
(di Felice Celato)
In questi tempi di furori labiali e di torpori mentali, vale la pena forse di… distrarci con la nostra rubrichetta più noiosa che, attraverso qualche numero, ci vorrebbe difendere dalle errate percezioni e dalle ingenue autopercezioni cui, come sappiamo, indulgiamo spesso e volentieri.
Stavolta è il turno di un indice piuttosto complesso (il Global Innovation Index, GII) che, da una decina d’anni, viene annualmente elaborato da INSEAD e da WIPO (l’agenzia ONU per la World Intellectual Property), in collaborazione con altre prestigiose organizzazioni scientifiche ed istituzionali internazionali. [Nell’ Advisory Board ho visto che c’è anche la Direttrice Generale del CERN, l’Italiana Fabiola Gianotti.]
Si tratta di un indice sintetico pensato per “misurare” la capacità dei principali paesi in cui è articolato il nostro mondo (126 paesi nell’edizione 2018, che coprono il 91% degli umani e il 96% del GDP mondiale) di generare ed utilizzare l’innovazione necessaria per sostenere il complessivo sviluppo umano del nostro tempo; innovazione, quindi, non solo tecnologica (in buona parte collegata con l’accresciuto consumo di energia della comunità umana) ma anche culturale, istituzionale e organizzativa.
Come è facile immaginare, si tratta di un indice estremante complesso, articolato in oltre 100 diverse “metriche” raggruppate in 7 “ottiche”: le istituzioni, il capitale umano, le dotazioni infrastrutturali, il grado di evoluzione dei mercati, l’articolazione produttiva, le conoscenze e le tecnologie, la creatività.
Nel ranking complessivo sintetico, l’Italia occupa 31° posto (l’anno scorso il 29°), per intenderci dopo Svizzera, Olanda, Svezia, UK, USA, Finlandia, Danimarca, Germania, Irlanda, Israele, Giappone, Francia, Cina, Canada, Spagna etc, ma anche dopo Estonia, Belgio, Malta, Rep Ceca, Cipro e Slovenia; e, in 5 delle 7 “ottiche” sopra elencate, occupa posti più o meno coerenti con quel posizionamento complessivo; un po' meglio, invece, per dotazioni infrastrutturali (18° posto) e un po' peggio per evoluzione dei mercati (44°posto). Nelle singole “metriche” spiccano per negatività del nostro posizionamento l’ambiente politico (46° posto), la legalità ovvero la rule of law (53°), la facilità di avviare un’attività (56°), la spesa per educazione (76°), la formazione di capitale (108°), la capacità di accesso al credito (88°), gli investimenti (99°), gli investimenti diretti esteri (111°), l’innovazione organizzativa nell’ITC (73°). Poche le eccellenze di rilievo, soprattutto nella sostenibilità ecologica, nelle certificazioni ISO, nel costo della riduzione di personale, nel disegno industriale.
Questo è il quadro super-sintetico; chi vuole può scaricarsi il voluminoso dossier dal sito https://www.globalinnovationindex.org. Magari, se è meglio disposto di me, ci trova qualche altro motivo di conforto che a me è sfuggito.
Roma 30 agosto 2018
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