In quaranta e più anni di esperienze nei mondi delle infrastrutture e dei trasporti, non ricordo – 11 settembre del 2001 a parte – un evento così semplicemente tragico e, allo stesso tempo, così difficile da inquadrare come quello del crollo del viadotto sul Polcevera. E’ presto, troppo caldi sono il dolore e lo stupore per quanto è potuto accadere, per tentare (se del caso) di rifletterci sopra ordinatamente e, quindi, per aggiungere qualsiasi considerazione (diversa dalla partecipazione al lutto nazionale) alle troppe che affluiscono sui media, non sempre illuminate dalla ragione né basate sulla piena conoscenza dei fatti e dei loro presupposti genetici.
Le divagazioni che seguono erano già pronte ieri, prima che giungesse la tragica notizia di Genova, così carica di lutti e foriera di enormi problemi, nuovi ed antichi; le “pubblico” oggi, ovviamente senza alcun riferimento, nemmeno lontano, agli eventi e ai commenti che li hanno (forse prematuramente) accompagnati.
Orbetello,15 agosto 2018, festa dell’Assunta.
L’ipocognizione
(di Felice Celato)
Una curiosa coincidenza di letture, di riflessioni e di occasioni mi ha portato a divagare su un concetto che la moderna antropologia comprende sotto il nome di ipocognizione (Kaidi Wu e David Dunning: Unknown unknowns : the problem of hypocognition, in Scientific American, 9 agosto 2018), intesa come mancanza di adeguate rappresentazioni (cognitive o linguistiche) di un concetto o di un’esperienza emotiva, tale da “ingannare” la nostra vera consapevolezza di ciò che vorremmo dire. [L’apparente opposto concettuale di ipocognizione è l’ipercognizione, cioè l’applicazione di nozioni concettuali al di fuori della loro effettiva rilevanza; che, in fondo, produce, però, gli stessi effetti di disallineamento fra significati e significanti.]
Notava, per esempio, Benedetto XVI (cfr. Spe salvi, ma anche Introduzione al cristianesimo) come la nostra permeazione nel concetto di tempo ci possa deviare da un’adeguata intuizione della vita eterna, magari inducendoci ad immaginare il definitivo abbraccio con la Divinità come un susseguirsi di giorni e di notti beati, quasi come se il tempo esistesse nell’Eterno, per di più con gli stessi ritmi del contingente. Del resto, proprio in questi giorni che precedono la festa dell’Assunta, in un modo che mi pare del tutto analogo, l’ipocognizione (o l’ipercognizione) ci porta ad esprimere la pienezza della predilezione divina attraverso un concetto (quello di Assunzione in cielo della Madonna) per sua natura fisico-traslativo (anzi, i teologi si affannano a sottolineare la differenza… dinamica fra Ascensione e Assunzione).
Ma, anche allontanandoci in tutta fretta da temi così complessi e delicati – dove l’ipocognizione, per la verità, non è che una naturale conseguenza dei nostri umanissimi limiti di fronte all’Illimitato – l’ipocognizione di cui parlano Wu e Dunning mi pare diventata la condizione nella quale sentiamo esprimere la maggior parte delle correnti opinioni; tanto più, naturalmente, quanto più gli orizzonti culturali del comunicante sono limitati; e anche quanto più si fa complessa la realtà che dovremmo padroneggiare. Così, notano i due autori sopra citati, ci aggiriamo in terreni sconosciuti come novizi piuttosto che come esperti, compiaciuti di ciò che sappiamo e dimentichi di ciò che non sappiamo.Del resto, riconoscere l’ipocognizione richiede il sapersi allontanare dalla rassicurante familiarità dei nostri orizzonti culturali per afferrare ciò che ci è sconosciuto o ci sfugge; e immaginate quanto sia difficile per chi si è fatto avvezzo ad esprimere, con vigore ed immediatezza, certezze su tutto e su tutti (è, in fondo, questo il senso di quell’opinionismo istantaneo di cui parlavamo qui giusto 7 anni fa con un post del 25 agosto 2011) o anche solo a recepirle come utile frutto dell’altrui baldanza valutativa. In fondo, temo, ci stiamo tutti abituando a convivere con una rumorosa ipocognizione del mondo complicato in cui viviamo, forse ingenuamente rassicurati dal constatare che almeno, fra noi, c’è qualcuno che nemmeno ne sospetta l’incidenza sulle proprie (sempre vigorose) opinioni.
Ancora una volta – per non disperare – la coscienza del problema, cioè del limite ipocognitivo delle opinioni che ascoltiamo, può essere la via della salvezza. Una via di salvezza tanto più necessaria quanto più si approssima la decisiva fase delle nostre scelte nel contesto turbatissimo in cui viviamo.
Orbetello 13 agosto 2018
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