Babelisti D.O.C.
(di Felice Celato)
Come forse i lettori più assidui di questo blog ricorderanno, le cicale hanno su di me l’effetto (non tocca a me dire se benefico o malefico) di trascinarmi verso divagazioni, pensose forse, ma, più probabilmente, solo oziose.
Stavolta è toccato al tema del razzismo, un male antico dell’uomo (mi è capitata tra le mani una foto del pogrom antisemita del 1941, a Leopoli, dove un “buon” borghese, con tanto di giacca allacciata e cravatta, assesta un calcio sulla schiena di un ebreo caduto a terra, fra l’indifferenza degli astanti; una foto agghiacciante!); un male antico, dicevo, anche molto più antico del pogrom di Leopoli, ma sempre pronto a riemergere con forza, come tutti sappiamo (e – in molti? – temiamo).
Anzi, secondo alcuni osservatori americani, il tema razziale sarà, in modi diversi e per diverse vie, il tema di fondo delle prossime tenzoni politiche statunitensi. Un autorevole “fondista” del NYT (David Leonhardt, certamente non accusabile di simpatie Trumpiane) fa notare che esiste un rischio di una racialised politics dei Democratici alle prossime elezioni, sulla base del fatto che i bianchi non ispanici, negli Usa, rappresentano (ancora) ben il 68 % degli aventi diritto al voto e, per di più, fra di essi, vi è una propensione al voto maggiore degli altri gruppi etnici. [Non senza ragione, notava amaramente Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi: Non ci è dato forse di constatare, …proprio di fronte alla storia attuale, che nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire là dove le anime inselvatichiscono?].
D’altra parte, twitta l’ economista americano Jed Kolko (ora pure gli economisti twittano!?) negli Usa, a giugno 2018, l’età più comune fra gli statunitensi è di 58 anni per i bianchi, di 28 per gli asiatici, di 27 per gli afro-americani e di 11 per gli ispanici. Se non stesse twittando, l’economista – a me sconosciuto – forse avrebbe precisato se con l’uso del termine età più comune intenda riferirsi al concetto statistico di moda – il valore rilevato con maggior frequenza – o, più probabilmente, al concetto statistico di mediana – il valore che divide a metà il mondo dei dati rilevati; ma, come che sia, il dato twittato è impressionante e ci dà la sensazione delle mutazioni demografiche che aspettano il nostro mondo. In aggiunta a ciò, sempre in USA (dato Vox.com) pare che in ben 22 stati (su 50) il numero dei bianchi morti supera oggi quello dei bianchi nati; lo stesso dato era di 17 nel 2014 e di 4 nel 2004! Mi piacerebbe avere lo stesso dato per le varie regioni italiane, magari distinguendo gli italiani d.o.c. (concetto tanto caro ai parmigianisti di casa nostra) dagli italiani “d’imitazione” (ammesso che ci sia qualcosa da imitare).
Poi, sempre portato dal canto delle cicale, ma forse ispirato dalla confusione del nostro mondo, mi è venuto in mente di rileggere il passo del Genesi (Gn. 11, 1-9) dove si parla, appunto, di Babele (dove il Signore confuse la lingua di tutta la terra). Stratificato in mente avevo il concetto della torre che spiacque a Dio per la sua altezzosità (“Venite, facciamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”). Ma rileggendo il passo dell’Antico Testamento mi è venuto in mente che forse al Signore spiacque, più che la torre, l’intento di fare una città per non disperder[si] su tutta la terra, una città chiusa in sé dal nome di quelli che l’avevano fondata: i babelisti d.o.c. li si sarebbe detti.
Roma 31 luglio 2018, Festa di sant’Ignazio.
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