24/25 luglio 1943
(di Felice Celato)
“Solo” 75 anni fa, nella notte fra il 24 e il 25 luglio del 1943, il fascismo cominciava la sua rapida e rovinosa caduta che, dalle piazze gremite di folla plaudente, rapidamente conduceva il regime (e l’Italia) a piazzale Loreto. Il regime autoritario, autarchico, bellicoso e razzista cominciava a ruzzolare, fra le rovine fumanti di una guerra dissennata, seminatrice di lutti, di divisioni e di distruzioni, e lo sgretolarsi del consenso delle folle oceaniche – di cui pure il fascismo godeva quando annunciava tonante le soluzioni necessarie... contro il problema ebraico (Piazza dell’Unità d’Italia, 18 settembre 1938) o le ore segnate dal destino (Piazza Venezia, 10 giugno 1940).
Complice – appunto – la sconfitta militare, con rapidità, in 21 mesi (dal 25 luglio 43 al 28 aprile 45), il consenso oceanico mutava negli oltraggi di piazzale Loreto i fasti di un regime durato più di vent’anni non senza aver goduto di un vasto consenso popolare, del resto rapidamente disperso.
Così va il mondo, da sempre; ogni volta che la vox populi viene scambiata per la vox Dei e magari si immagina che qualcuno la sappia interpretare in focosa solitudine; ma anche ogni volta che persino la democrazia presuma la definitività delle sue stesse decisioni, facendo sua l’assolutizzazione del potere popolare che presuppone o il dogma o la schepsi (G. Zagrebelsky, Il “crucifige” e la democrazia, Einaudi, 2007).
Dunque, il 25 luglio contiene per noi, ancora, a 75 anni di distanza, un messaggio di vigilanza critica: quand’anche largamente penetrato nelle mentalità di molti, o di quasi tutti (come avvenne del fascismo), persino il vigoroso e fors’anche – per certuni – affascinante messaggio di chi si riteneva ad un tempo vox populi e vox historiae, ha potuto vacillare dinnanzi al coraggio di quelli che hanno saputo far proprie (anche in ritardo) le esigenze del realismo sulle condizioni del paese. Nel contesto delle nostre democrazie contemporanee non siamo, per nostra fortuna, richiesti di confrontarci con simili, soverchianti dominazioni politiche, in contesti tanto drammatici; ma rimane l’esigenza civile – rubo ancora le parole a Zagrebelsky (loc.cit.) – di una democrazia critica che non sarà mai un tronfio regime sicuro di sé, che rifiuta le autocritiche, guarda solo avanti, è sempre proiettato allo scopo e dimentico delle sue radici…ma un regime inquieto, circospetto, diffidente nei suoi stessi riguardi, sempre pronto a riconoscere i propri errori, a rimettersi in causa, a ricominciare da capo.
Roma 24 luglio 2018
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