lunedì 16 luglio 2018

Dibattiti

Coincidenze... finali
(di Felice Celato)
Credo di poter dire che, nella non breve “storia” di queste conversazioni asincrone (cominciate nell’aprile di oltre sette anni fa), veramente pochi post hanno destato così tante cortesi (questo è lo stile della casa e dei lettori) perplessità come l’ultimo, Quid est bonitas?; che, del resto, non faceva altro che argomentare su un articolo di un filosofo contemporaneo, letto sul più importante quotidiano Italiano (il Corriere della sera). La sostanza di queste perplessità può riassumersi nell’enunciato (un po' anche figlio dei tempi): “la bontà non può essere un criterio di governo”.
Anche senza arrivare a proclamarmi un seguace di Machiavelli, non esito a riconoscere che l’enunciato mi trova sostanzialmente d’accordo: l’arte del governo di una comunità (locale, nazionale o plurinazionale che sia) postula assai più l’esercizio della ragione che non del sentimento (per banalizzare: del cuore). La cosa, del resto, non può nemmeno sorprendere un cattolico d’antan come il sottoscritto, cioè un cattolico sicuramente démodé; gli basterebbe rifarsi alla ben nota citazione di Benedetto XVI: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” (Regensburg, 12 sett. 2006).
E dunque ben volentieri riconosco che la bontà, in sé, non può costituire un indirizzo politico, allo stesso modo in cui il cosiddetto buonismo – di cui abbiamo parlato qualche post fa – non potrebbe certo essere un indirizzo partitico. Eppure…. Eppure, pur essendo l’arte del governare un esercizio di umane abilità (e competenze!) al servizio della ordinata convivenza, non mi sentirei di affermare che la bontà sia completamente fuori giuoco. Essa, nella mia sensibilità, vorrebbe essere il sostrato generoso del nostro comune sentire, la stoffa umana della nostra società, del resto incorporata persino nei Principi Fondamentali della nostra Costituzione (art 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale). Se volessimo essere ancora più formali, potremmo legittimamente auspicare di intravvedere nella bontà addirittura uno di quei (riconoscibili) valori fondamentali in mezzo ai quali sorgono il diritto e la politica (per usare le parole di una citazione già fatta qualche post fa) e nei quali è radicata, come abbiamo visto, la nostra Costituzione.
Con ciò, non voglio assolutamente affermare che il mio discorso dell’altro giorno potesse avere una diretta valenza politica; esso, invece, pretendeva di avere – come il testo dal quale prendevo lo spunto – una pura connotazione umanistica; nella convinzione però che questa potesse, in modo mediato dalla ragione, assumere nel tempo un indiretto significato politico.
Bene, fin qui le ragioni della perplessità suscitata dalle mie note (evidentemente non chiare a sufficienza).
Certo non mi illudo di finire qui la nostra piccola discussione; si potrebbe a lungo discettare (e questo sarebbe veramente un tema politico) su quali siano i criteri e quale la vista (corta o lunga) con cui la ragione effettua quella mediazione di cui parlavamo qualche riga fa. E qui, forse, ci troveremmo di fronte ad un bivio che consiglia di fermarci qui; ma che, per noi cattolici (d’antan, s’intende), porta ad una “pericolosa” coincidenza, fra il Logos (che significa, ad un tempo, ragione, senso e parola… Dio, che è Logos, assicura all’uomo…. la corrispondenza di Dio alla ragione e la corrispondenza della ragione a Dio, J.Ratzinger: Introduzione al Cristianesimo, LEV, 2005, pg 21) e la Caritas (Deus caritas est, Enciclica di Benedetto XVI, 25 dic.2005). Coincidenze non solo meta-fisiche.
Roma, 16 luglio 2018



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