La virtù vilipesa
(di Felice Celato)
Se un filosofo italiano (ma di cultura internazionale, Luciano Floridi, professore di Etica dell’informazione all’università di Oxford) ha sentito il bisogno di scrivere sul Corriere della sera dell’11 luglio un lungo articolo sul “Male di democrazia” (inteso come soffocante malanno cronico del nostro tempo civile, che richiede una terapia urgente), qualcosa deve esserci di giustificato nel disagio che proviamo ogni giorno guardandoci intorno o solo ascoltandoci. E se questo filosofo sente il bisogno di concludere le sue prescrizioni con quest’appello: Organizzare la buona volontà, l’intelligenza, e l’operosità per rimpiazzare le politiche della paura e dell’interesse con le politiche della speranza e della solidarietà. Non so se per aiutare i buoni ad aggregarsi e coordinarsi serva un nuovo «partito aperto», o basti riformare uno vecchio. Ma so che bisogna smettere di litigare, e che serve un‘interfaccia che accolga tutte le buone volontà e le tante competenze, per far interagire la società civile con la vita politica e la gestione dello Stato. La malattia è seria. La terapia è urgente. La cura non sarà né facile né rapida. Perciò prima i buoni iniziano a fare sul serio meglio è; beh! se è così, vuol dire che non siamo solo noi a rivendicare il diritto di aspirare ad essere buoni (cfr. Controcorrente, post del 21 giugno u.s.) e a sentire, anzi, il dovere di esserlo.
Allora, forse è meglio essere chiari su che cosa può voler dire essere buoni. Cominciamo – come è sempre saggio fare – mettendoci d’accordo (laicamente, per carità!) su che vuol dire la bontà. Eccoci dunque al Vocabolario on-line della Treccani, fermandoci, per brevità, ai primi e più importanti significati: bontà: 1.a. L’essere buono; carattere di chi è d’animo buono e gentile, e particolarmente di chi, sensibile alla sorte degli altri, cerca di procurare loro tutto il benessere possibile e di evitare tutto ciò che li può fare soffrire; b. Sentimento e dimostrazione di benevolenza; quindi anche cortesia, gentilezza e simili; c. In senso concreto, atto di benevolenza, di gentilezza, buona azione.
Se poi fosse consentito (ma coi tempi che corrono è legittimo dubitarne) spingersi fino ad una lettura del concetto nella chiave propria delle nostre radici giudaico-cristiane (alle quali io – ma non solo io – sono molto affezionato), potremmo agevolmente ricordare che la bontà è – come dicevamo qualche giorno fa – l’attributo essenziale di Dio, partendo dal Genesi, fino al Nuovo Testamento, passando per Esodo, Profeti, Salmi, etc. (mi verrebbe spontaneo citare una splendida omelia di Benedetto XVI sul Salmo 136 - per intenderci quello che comincia Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre – ma lasciamo perdere). Nella tradizione Cristiana, poi, la bontà si fonde col concetto di carità/amore. Non a caso, per tornare al mondo dei laici, sempre sul Vocabolario on-line della Treccani, se si cerca il termine carità, fra i primi significati, si trova: 1. L’amore che, secondo il concetto cristiano, unisce gli uomini con Dio, e tra loro attraverso Dio; 2.a: Più comunemente, amore attivo per il prossimo che si esplica soprattutto attraverso le opere di misericordia. b. Sentimento umano che dispone a soccorrere chi ha bisogno del nostro aiuto materiale. Se poi non si ha paura di capire meglio, basterà rileggere San Paolo, 1°Cor. 13,1-13.
Bene. Se ci siamo messi d’accordo sul senso del concetto di cui parliamo, non dovrebbe esserci dubbio che stiamo parlando di un’eccelsa virtù (anzi della somma virtù), che ogni uomo (laico o fedele) dovrebbe ardentemente desiderare di praticare, in sé stessa o come riflesso della bontà divina; e di farne la base della nostra convivenza sociale, oltreché della nostra personale edificazione.
Il prof. Floridi (di cui dicevamo all’inizio) ci invita a farlo subito e sul serio per arrestare il declino antropologico che supporta quello democratico. Certo non è à la page, sa di una specie di fesseria ad alto contenuto di ingenuità, di irresponsabile buonismo da mezzi uomini; nel caso migliore, di presbite lungimiranza (che vede lontano ma perde i dettagli più vicini). Pazienza, guardare lontano è sempre stato difficile, soprattutto per i miopi.
Roma 12 luglio 2018
P.S. Se a questo post ho dato un titolo che riecheggia l’eterna scettica domanda di Pilato (quid est veritas?) è solo perché mi pare che l’eclissi della bontà come virtù anche civica segua proprio la dinamica scolpita nelle parole dell’insegnamento di Benedetto XVI (Assisi, 17/6/07) con riferimento al ragionamento del Prefetto romano: essendo irriconoscibile la verità (ovvero la bontà), Pilato lascia intendere: facciamo secondo quanto è più pratico, ha più successo, e non cercando la verità (ovvero la bontà). Condanna poi Gesù a morte, perché segue il pragmatismo, il successo, la sua propria fortuna.
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