La democrazia come martello
(di Felice Celato)
Se il caldo vi spinge a desiderare anche una lettura rinfrescante, eccovi una segnalazione utile. Preceduto da una prefazione di un “grande vecchio” della dottrina dello stato (Sabino Cassese) ed accompagnato da un breve saggio di un apprezzato politologo accademico (Raffaele De Mucci), la Luiss University Press ha tradotto e pubblicato un testo dal titolo (e dal metodo) intelligentemente provocatorio: Contro la democrazia (2018), di Jason Brennan, un giovane filosofo americano, scrittore lucido, chiarissimo ed argomentativo, che esprime opinioni urticanti, ma lo fa rendendosene pienamente conto ed anzi volendolo; per dimostrarci che si possono avere idee non convenzionali, magari non integralmente condivisibili (questa è l’opinione di Cassese) o dense di interrogativi (De Mucci) ma sicuramente utili a scuotere le incrostazioni del nostro pensiero; aiutandoci così a relativizzare le certezze in cui siamo stati – appunto: convenzionalmente – abituati a guardare ai nostri “adorati” principi democratici; ed anche a meglio valutare le inquietudini che ci pervadono quando ci affacciamo a considerare quel che vediamo dattorno, in Italia ma non solo.
La tesi di Brennan è che la democrazia, così come siamo abituati a considerarla (una procedura decisionale di per sé giusta), va ricondotta al suo valore strumentale (la sola ragione per preferire la democrazia a qualsiasi altro sistema politico è che è più efficiente nel produrre risultati giusti, secondo standard di giustizia che sono indipendenti dalla procedure. La democrazia non è diversa da un martello – cioè è uno strumento, un mezzo per un fine, non un fine in sè. Se riuscissimo a trovare un martello migliore dovremmo usarlo.)
E qual è lo strumento migliore, secondo Brennan? L’epistocrazia cioè un regime in cui il potere politico è formalmente distribuito secondo le competenze, la capacità e la buona fede di agire sulla base di quelle capacità. E alle esigenze di selezione che anche siffatto regime imporrebbe, si può provvedere, secondo Brennan, in forme adeguate, dal suffragio ristretto, al voto plurimo e persino al suffragio per sorteggio a condizione che i sorteggiati si sottopongano poi ad esercitazioni per l’acquisizione di competenze.
Si può (banalmente) sorridere sulla praticabilità di tali strumenti (del resto proposti con qualche sottile ironia); oppure, come fa Cassese, si può ritenere che l’epistocrazia possa operare come correzione della democrazia, come un suo limite, non al posto di essa, salvo tornare al suffragio limitato per livello di istruzione; e che in fondo i poteri pubblici non sono tutti egualmente democratici, perché non tutto il potere è affidato ad istituzioni democratico-elettive (non a caso, Sabino Cassese è da tempo un aspro contestatore del cosiddetto spoil system che potrebbe consentire anche una permeazione di tali istituzioni da parte di istanze a-tecnicamente democratiche). Eppure non si può non riconoscere, come fanno lo stesso Cassese e anche più esplicitamente De Mucci, che non possiamo non dirci d’accordo sulle critiche [di Brennan] al funzionamento delle attuali democrazie. Ed è perfino difficile dissentire dall’idea portante delle sue argomentazione che la democrazia non sia una forma di “intelligenza o saggezza collettiva”, come sostiene una lunga serie di autori sulla scorta di Aristotele. Primo, perché questi attributi possono essere predicati di individui e non di masse indifferenziate di elettori, fra i quali sono davvero pochi coloro che si impegnano e sono un minimo informati per concorrere consapevolmente alla formazione di scelte collettive. Secondo perché, proprio per questo, la democrazia “aritmetica”, nella quale i voti si contano, non coincide con la democrazia “epistemica”, nella quale i voti pesano.
Direi che del volume di Brennan è proprio l’analisi critica delle condizioni in cui opera la democrazia ai giorni nostri la parte più convincente ed anche la più appassionante. L’epistocrazia è forse destinata a restare una saggia aspirazione; ma è anche vero, come nota Brennan, che per giustificare la democrazia abbiamo bisogno di spiegare perché è legittimo imporre su persone innocenti decisioni prese in modo incompetente.
Orbetello, 29 luglio 2018
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