venerdì 11 dicembre 2015

Pozzi neri e pozzi bianchi

Possibile e ragionevole
(di Felice Celato)
Giorni fa un amico, commentando uno dei nostri continui scambi di letture interessanti, si e mi domandava: che cosa è ragionevole e possibile fare per contrastare il “trend strutturale di riduzione della base produttiva che [in Italia] non è ancora terminato”? . Il commento si riferiva ad un articolo di Luca Ricolfi comparso su Il sole 24 ore di qualche giorno fa, nel quale era “annegata” la frase appena citata; io, giocando un po’ sul mio noto (vero o presunto) pessimismo (qualsiasi cosa voglia dire questa abusata parola), me la cavavo rispondendo: purtroppo temo che ciò che è ragionevole fare non è possibile e ciò che è possibile fare non è ragionevole. Risposta abile – vorrete convenire – ma certamente evasiva come lo sono spesso i giochi di parole; e, naturalmente, insoddisfacente. Rimuginandoci sopra, però, ho sentito il bisogno di una risposta più articolata che richiede qualche riga in più di una fugace mail fra amici, che spesso si prendono un po’ in giro sui rispettivi tic. E così ho pensato di buttarla giù, una risposta più articolata, sicuramente destinata, anch’essa, a restare insoddisfacente.
Cosa è ragionevole fare: è ragionevole – intanto – pensare che gli Italiani non abbiano del tutto sepolto i loro animal spirits che ci consentirono di uscire magnificamente dalle devastazioni della seconda guerra mondiale, anzi sviluppando un esempio di vitalità e creatività che i lunghi anni di regime fascista non avevano –evidentemente – del tutto soffocato. E’ ragionevole pensare che gli italiani non siano tutti disposti ad accettare questo lungo declino che da anni ci ha accompagnato verso il letargo esistenziale collettivo di cui parlava De Rita qualche giorno fa. E’ ragionevole pensare che, sia che lo si voglia chiamare (sempre citando De Rita) lo scheletro contadino o l’anima del grande resto, qualcosa sopravviva, nel nostro Paese, di non del tutto omologato alla profonda debolezza antropologica che costituisce la cifra della configurazione strutturale della nostra società. E’ ragionevole pensare che non tutti gli Italiani siano disposti ad accettare di lasciare ai propri figli o nipoti le macerie di quello che fu il “miracolo economico” del nostro paese, accontentandosi di essere vissuti relativamente bene a spese dei loro discendenti.
Se è ragionevole pensare questo, è anche ragionevole pensare che qualcosa possa essere fatto per arrestare – fra le altre – anche la deriva della contrazione produttiva e ri-attingere al profondo “pozzo buono” delle energie positive. Altre volte, anche su questo blog, ho provato a declinare magari sparsamente le mie idee al riguardo, tutte – bisogna riconoscerlo – banalmente abbarbicate – su questo tema – attorno a quel “vecchio” strumento che è l’impresa, ormai detestata in questo limbo italico dove chi fa sbaglia per il semplice fatto di fare e dove si immagina che il benessere possa crearsi per decreto. E non è il caso di tornarci sopra.
Ma, per stare alla domanda del nostro amico, è possibile fare ciò che sarebbe ragionevole fare?  Beh, io temo di no, per ora almeno. Occorre attendere che “il pozzo cattivo”, il pozzo nero delle nostre energie negative, cessi di attrarre per il suo più facile pescaggio; o, più probabilmente, che tracimi, come immaginano quelli – e sono sempre di più – che confidano in uno shock emotivo, dagli effetti de-letargizzanti.
In fondo – bisogna riconoscerlo – un  po’ tutto il mondo da qualche tempo si affolla ai margini dei rispettivi pozzi neri, pieni di confuse ansie per l’insicurezza economica e culturale dei nostri mondi e, magari, di reazioni emotive e idee gastro-centriche. Non a caso, proprio oggi, l’Economist è uscito con una copertina intitolata Playing with fear (Giocando con la paura) sulla quale compaiono i profili di Trump, Marine Le Pen e Orban (la “ricetta” del settimanale inglese è proprio quella che darei io: mercati aperti, confini aperti, globalizzazione e liberi movimenti delle persone; ma lasciamo stare, ora). Da noi, a questi oscuri timori, si aggiungono gravi e non infondate insoddisfazioni per un presente politico fatto di una retorica verbosa e suggestionata, in fondo prigioniera di quegli stessi circuiti mentali che alimentano il pozzo nero delle energie negative.
Dunque è tempo di pozzi neri, caro amico, voglioso di soluzioni. Bisogna attendere perché si possa fare ciò che è ragionevole fare. Come dice l’Economist presto o tardi torneremo a capire che c’è qualcosa di più stimolante che la rabbia. E allora torneranno utili i “pozzi” buoni. Magari, per attingervi, ci vorrà una corda più lunga, perché col tempo i pozzi buoni si impoveriscono di acque pulite.
Roma 11 dicembre 2015



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