Possibile e ragionevole
(di
Felice Celato)
Giorni
fa un amico, commentando uno dei nostri continui scambi di letture
interessanti, si e mi domandava: che cosa è ragionevole e possibile fare per
contrastare il “trend strutturale di
riduzione della base produttiva che [in Italia] non è ancora terminato”? . Il commento si riferiva ad un articolo
di Luca Ricolfi comparso su Il sole 24
ore di qualche giorno fa, nel quale era “annegata” la frase appena citata;
io, giocando un po’ sul mio noto (vero o presunto) pessimismo (qualsiasi cosa
voglia dire questa abusata parola), me la cavavo rispondendo: purtroppo temo
che ciò che è ragionevole fare non è possibile e ciò che è possibile fare non è
ragionevole. Risposta abile – vorrete convenire – ma certamente evasiva come lo
sono spesso i giochi di parole; e, naturalmente, insoddisfacente. Rimuginandoci
sopra, però, ho sentito il bisogno di una risposta più articolata che richiede
qualche riga in più di una fugace mail fra
amici, che spesso si prendono un po’ in giro sui rispettivi tic. E così ho
pensato di buttarla giù, una risposta più articolata, sicuramente destinata,
anch’essa, a restare insoddisfacente.
Cosa
è ragionevole fare: è ragionevole – intanto – pensare che gli Italiani non
abbiano del tutto sepolto i loro animal
spirits che ci consentirono di uscire magnificamente dalle devastazioni
della seconda guerra mondiale, anzi sviluppando un esempio di vitalità e
creatività che i lunghi anni di regime fascista non avevano –evidentemente –
del tutto soffocato. E’ ragionevole pensare che gli italiani non siano tutti
disposti ad accettare questo lungo declino che da anni ci ha accompagnato verso
il letargo esistenziale collettivo di
cui parlava De Rita qualche giorno fa. E’ ragionevole pensare che, sia che lo
si voglia chiamare (sempre citando De Rita) lo
scheletro contadino o l’anima del grande
resto, qualcosa sopravviva, nel nostro Paese, di non del tutto omologato
alla profonda debolezza antropologica che
costituisce la cifra della configurazione
strutturale della nostra società. E’ ragionevole pensare che non tutti gli
Italiani siano disposti ad accettare di lasciare ai propri figli o nipoti le
macerie di quello che fu il “miracolo economico” del nostro paese,
accontentandosi di essere vissuti relativamente bene a spese dei loro
discendenti.
Se è
ragionevole pensare questo, è anche ragionevole pensare che qualcosa possa
essere fatto per arrestare – fra le altre – anche la deriva della contrazione
produttiva e ri-attingere al profondo “pozzo buono” delle energie positive.
Altre volte, anche su questo blog, ho
provato a declinare magari sparsamente le mie idee al riguardo, tutte – bisogna
riconoscerlo – banalmente abbarbicate – su questo tema – attorno a quel
“vecchio” strumento che è l’impresa, ormai detestata in questo limbo italico dove chi fa sbaglia per il
semplice fatto di fare e dove si immagina che il benessere possa crearsi per
decreto. E non è il caso di tornarci sopra.
Ma,
per stare alla domanda del nostro amico, è possibile fare ciò che sarebbe
ragionevole fare? Beh, io temo di no,
per ora almeno. Occorre attendere che “il pozzo cattivo”, il pozzo nero delle
nostre energie negative, cessi di attrarre per il suo più facile pescaggio; o,
più probabilmente, che tracimi, come immaginano quelli – e sono sempre di più –
che confidano in uno shock emotivo,
dagli effetti de-letargizzanti.
In
fondo – bisogna riconoscerlo – un po’
tutto il mondo da qualche tempo si affolla ai margini dei rispettivi pozzi
neri, pieni di confuse ansie per l’insicurezza economica e culturale dei nostri
mondi e, magari, di reazioni emotive e idee gastro-centriche. Non a caso,
proprio oggi, l’Economist è uscito
con una copertina intitolata Playing with
fear (Giocando con la paura) sulla quale compaiono i profili di Trump,
Marine Le Pen e Orban (la “ricetta” del settimanale inglese è proprio quella
che darei io: mercati aperti, confini aperti, globalizzazione e liberi
movimenti delle persone; ma lasciamo stare, ora). Da noi, a questi oscuri
timori, si aggiungono gravi e non infondate insoddisfazioni per un presente
politico fatto di una retorica verbosa e suggestionata, in fondo prigioniera di
quegli stessi circuiti mentali che alimentano il pozzo nero delle energie
negative.
Dunque
è tempo di pozzi neri, caro amico, voglioso di soluzioni. Bisogna attendere
perché si possa fare ciò che è ragionevole fare. Come dice l’Economist presto o tardi torneremo a
capire che c’è qualcosa di più stimolante che la rabbia. E allora torneranno
utili i “pozzi” buoni. Magari, per attingervi, ci vorrà una corda più lunga, perché
col tempo i pozzi buoni si impoveriscono di acque pulite.
Roma
11 dicembre 2015
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